Ci sono racconti per tutti gli animi, ci sono racconti che riempiono gli animi. Ci sono storie tratte da vicende vere e altre inventate. Tutte, comunque, sono ancorate all’abilità della penna dell’autore che traccia la scia delle sue “impronte” narrative pagina su pagina. Ci sono narrazioni che volano alto per atterrare nel cuore di chi le leggerà.
E’ quanto emerge dalla recente fatica letteraria, “Formalina” (FaraEditore, 2013, pp. 180), di Gaetano Giuseppe Magro, professore associato di Anatomia patologica presso la Facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università di Catania, al suo secondo romanzo dopo aver pubblicato varie raccolte poetiche. Nato tra le spumose rive di un mare mediterraneo ancora dal sapore saraceno e vetusti palazzi sciclitani, la cui ombra si proietta sulle levigate basole che riverberano atomi di luce barocca, l’autore nella sua nota introduttiva confessa di aver scritto “questo romanzo perché molta gente (tra cui molti medici) non sa cosa sia, né tantomeno conosce, l’oggetto d’interesse dell’anatomia patologica”.
Ma chi è l’anatomopatologo? E’ un uomo che cerca muta gloria nel silenzio della sua stanza in un quotidiano incontro con “il mal di vivere cellulare” e costretto “a danzare sugli orli” di precipizi rappresentati dalla fredda dicotomia tra patologia benigna o maligna. Si tratta, puntualizza l’autore, di “una continua sfida pirandelliana tra forma e realtà che si consuma nella retina dei suoi occhi, sotto le lenti ad alto ingrandimento di un microscopio ottico” cercando di colloquiare con le cellule per convincerle “a sussurrare il loro ultimo segreto”. Un continuo indagare, dunque, in cui “non vede mai la realtà delle cose che osserva, ma soltanto i suoi riflessi […] ombre di verità filtrate” che gettano luce su “un mondo che vive su un’altra lunghezza d’onda”. Una dimensione reale e infinitesimale di cui, però, l’occhio umano riesce a distinguere solo i contorni macroscopici come i pezzi di organi o di tessuti umani, posti sotto formalina, che si trovano nel museo anatomico luogo di incontro dei due protagonisti del romanzo. Un luogo che invita molto a riflettere sul senso della vita, una sorta di “cimitero dal sapore trascendentale” in cui si trovano “referti inquietanti” di impalcature cellulari che possono ben rappresentare “la controparte reale delle monche esistenze montaliane” che vibrano tra il nulla di un prima e il nulla di un dopo.
Lei è Ambra, dal profilo tipicamente mediterraneo e lunghi capelli nero pece, che per molti è “una ragazza difficile” perché rifugge dagli uomini che ostentano il “potere sociale” e perché colpevole di aver spostato “l’asticella dell’amore” una manciata di centimetri “al di sopra della linea mediana frequentata dalla maggior parte delle donne”. Segni caratteristici: si porta appresso l’ombra lunga delle poesie che legge e, soprattutto, possiede una spiccata passione per la lettura e scrittura.
Lui è Ruggero, brillante anatomopatologo, che, sedotto “dalle morfologie alterate del vivere” e pervaso da una profonda tristezza esistenziale, avverte il peso della sua professione dedita ad analizzare vetrini su cui sono imprigionati “minuti frammenti d’esistenza in attesa di un giudizio universale”. La sua attrazione per Ambra rappresenta un’occasione di allontanamento, l’uscita momentanea da quel mondo microscopico che lo impegna senza posa.
È narrato l’incontro tra due “esistenze materiche”, due diverse dimensioni, che si trovano “nelle stesse coordinate di spazio e tempo” ma caratterizzate da pensieri che gravitano “attorno a due galassie distanti milioni di anni luce”. Parole e sguardi che cercano il punto di intersezione. E’ “il gioco irrazionale dell’amore”. Un gioco che non si svolge in uno spazio fisico, ma in un “luogo metaforico della mente” dove invisibili particelle atomiche “ruotano, talora toccandosi tra loro” in un ordinato caos di traiettorie che esulano “da leggi fisiche ineluttabili”. E’ il fascino dell’esistenza che però stride con la patologia improvvisamente riscontrata nella zona anatomica più intima di Ambra. Patologia che si rivela punto cardine dell’intera architettura narrativa e che l’autore, con linguaggio fluido, infarcito di citazioni letterarie, filosofiche e medico-scientifiche, propone ai lettori indagando quelle zone crepuscolari fra eros e dimensione della vita, e con una location “pettinata” (per usare un’espressione cara all’autore) e “girata” tra la zona iblea più a sud di Tunisi e la città di Kafka.
Nel titolo “Formalina” vi è la sintesi di una professione medica, quella dell’anatomopatologo, proposta con rilievi contrastanti che toccano la quotidianità attraverso anche la vampa d’amore che nasce dirompente tra Ambra e Ruggero e che poi svanisce senza un perché comprensibile e con un finale a sorpresa.
Giuseppe Nativo