Gela (Cl): blitz di goletta verde

A Gela, in Sicilia, il futuro continua ad essere ancora poco green e sostenibile. Qui, dove dagli anni ‘60  il polo petrolchimico dell’Eni ha inquinato l’aria, il suolo, le falde e la città danneggiando fortemente la salute dei cittadini, la situazione resta sempre difficile.

Ad oggi le bonifiche del territorio procedono a rilento (Gela fu dichiarata area ad elevato rischio ambientale nel 1990 e fu inserita nel 1998 tra i primi Siti di interesse nazionale da bonificare ma di bonifiche completate non se ne vede traccia) e a pagarne lo scotto sono sempre i cittadini in termini di salute e lavoro. Inoltre anche se nel 2016 è iniziata la riconversione a olio di palma dell’impianto – si parla della cosiddetta bioraffineria –, questa riconversione di sostenibile ha davvero ben poco, visto che l’impianto userà soprattutto olio di palma d’importazione.

A denunciarlo è Legambiente che con Goletta Verde fa tappa in Sicilia per riaccendere i riflettori su Gela – dove sono in corso diverse indagini giudiziarie per inquinamento e alcuni dirigenti di Eni sono sotto processo per disastro ambientale innominato causato dalle attività del polo petrolchimico – e su quella riconversione “green” della raffineria che ora punta sui finti biocarburanti, quelli prodotti con olio di palma e derivati. La stessa Commissione Europea nella nuova direttiva rinnovabili, ha definito l’olio di palma come biocarburante da coltivazione a rischio per le foreste tropicali e per la biodiversità. In questi anni, infatti, per soddisfare la sete europea di olio di palma, milioni di ettari di foresta pluviale sono stati distrutti per permettere l’espansione delle piantagioni di palme da olio, mettendo in pericolo anche gli oranghi delle foreste del Borneo (Indonesia e Malesia) e le popolazioni indigene.

Per questo oggi Goletta Verde, nel corso della tappa di Gela, ha organizzato un blitz speciale e simbolico con tanto di oranghi all’ingresso della raffineria per ribadire come l’olio di palma per la produzione dei biocarburanti sia una minaccia per l’ambiente e per chiedere a Eni un cambiamento concreto su questo fronte e su quello delle rinnovabili, abbandonando del tutto la strada delle fonti fossili (l’Accordo su Gela firmato nel 2014 prevedeva 2,2 miliardi di euro di investimenti, di cui 1,8 miliardi per le attività di estrazione di idrocarburi dal Canale di Sicilia e solo 400 milioni di euro per le attività di bonifica e riconversione dell’impianto). Inoltre l’associazione ambientalista, che nei mesi scorsi ha promosso insieme ad altre Ong la campagna europea “Save Pongo” per chiedere l’abolizione di questo olio vegetale per produrre biodiesel sostenuti da oltre 630mila cittadini che hanno firmato la petizione, ha chiesto oggi nuovamente al governo italiano di “stoppare” dal 2021 l’utilizzo dell’olio di palma nei biocarburanti prendendo esempio anche dagli altri Paesi Europei.

“Nella nostra Penisola oltre a Taranto – dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente ci sono ancora diverse situazioni critiche legate ad altre aree industriali, a partire da quella di Gela. Qui il popolo inquinato, che da anni paga lo scotto di un polo industriale che ha inquinato il territorio, aspetta giustizia e chiede un futuro più sostenibile in grado di coniugare ambiente, salute e lavoro. A Eni, la grande azienda italiana quotata in borsa che ha come primo azionista lo Stato, ma che continua a trivellare in Italia e nel resto del mondo per estrarre petrolio e gas, chiediamo quale sia la svolta verde che vuole intraprendere. Perché per quanto riguarda la riconversione avviata nella raffineria di Gela sta sbagliando in modo evidente, visto che punta sull’olio di palma da importazione che non fa bene all’ambiente.

A quando l’annuncio della profonda riconversione del business di Eni dalle fossili alle rinnovabili? Non dimentichiamo che oggi – aggiunge Ciafani – si possono produrre biocarburanti avanzati che sostituiscono l’olio di palma, riciclando scarti in un’ottica di economia circolare. In attesa di un cambio di passo di Eni, auspichiamo che nel Piano Energia e Clima venga prevista una drastica riduzione delle importazioni di olio di palma per usi energetici seguendo l’esempio di Francia e Norvegia che hanno già annunciato di volerlo eliminare entro il 2020”.

I dati epidemiologici su Gela sono davvero impressionanti. Dall’ultimo aggiornamento dello studio epidemiologico SENTIERI (dati 2006-2013 per mortalità e ricoveri e 2010-2015 per malformazioni congenite) le statistiche su Gela a confronto con la media regionale sono davvero preoccupanti. È stata riscontrata una mortalità in eccesso del 7% tra gli uomini e del 15% tra le donne, cioè 54 decessi prematuri in più ogni anno. In particolare: per i tumori +15% Uomini e +13% Donne, mentre per le malattie urinarie +37% Uomini e +33% Donne. Tra i tumori risultano in eccesso quelli di stomaco, colon-retto e polmone, specie tra gli uomini. Peggiore è la situazione dei ricoveri che risultano in eccesso anche per malattie cardiovascolari e respiratorie, sia per uomini che per donne. Ci sono eccessi di mortalità e ricoveri per Tumori anche nei più giovani. Anche le malformazioni congenite sono in eccesso, specie quelle dell’apparato urinario (5 casi in più ogni anno) e dei genitali (5 casi in più/anno).

I dati sono stati confermati anche dalle analisi recentemente effettuate dal Dipartimento Osservatorio Epidemiologico della Regione Siciliana su dati più aggiornati (2011-2015) considerando l’area a rischio di Gela+Niscemi+Butera a confronto con area di 19 comuni limitrofi. Dal 2014 sta avvenendo una forte deindustrializzazione, i dati sanitari possano migliorare ma è fondamentale la bonifica altrimenti si continuerà ad osservare uno stato di salute alterato anche a impianti fermi, come avvenuto in altre aree industriali come ad esempio Massa Carrara, dove i dati epidemiologici sono ancora gravi a oltre 30 anni dalla chiusura dello stabilimento Farmoplant.

L’associazione ambientalista ricorda, inoltre, che in Sicilia continua l’insensata corsa all’oro nero. A parlare chiaro sono i numeri che l’associazione ambientalista ha raccolto sul fronte trivelle, petrolio, concessioni e regali alle fonti fossili.

Trivelle e fossili: La percentuale di copertura delle fonti fossili rispetto ai consumi siciliani, al 2017 (ultimi dati Simeri GSE), si attesta all’87,5%, con le rinnovabili in leggera crescita che coprono l’12,5% dei consumi della regione (11,6% nel 2016).

Petrolio: La produzione di petrolio dai giacimenti ubicati in Sicilia rappresenta circa il 13,4% della produzione nazionale, grazie alle 628 mila tonnellate (rispettivamente 415 mila tonnellate sulla terra ferma e 212 mila tonnellate in mare) estratte nel 2018.  Le concessioni produttive in territorio siciliano sono in tutto 8 (3 in mare e 5 sulla terraferma) per un totale di 1.089 chilometri quadrati. A spartirsi le concessioni siciliane sono 3 società: ENI MEDITERRANEA IDROCARBURI che detiene 5 concessioni in esclusiva e una insieme a EDISON ed IRMINIO.

Metano: Le concessioni produttive che estraggono gas in Sicilia sono in tutto 15 (3 a mare e 12 sulla terraferma) per un totale di 1.166 kmq, in grado di produrre, nel 2018, circa 190,6 milioni di Smc (rispettivamente 4,2 milioni di Smc a mare e 186,4 milioni di Smc sulla terraferma), pari a circa il 3,4% della produzione nazionale. Sono sempre ENI ed EDISON ad avere la maggior parte delle concessioni siciliane.

Permessi e Istanze di ricerca: Sul territorio siciliano ricadono anche 11 permessi di ricerca: 6 sono ubicati sulla terraferma che interessano 3.762 kmq e 5 sono ubicati a mare, 2.065,7 kmq, per complessivi 5.827,5 kmq. Sei di tali permessi sono intestati alle Società ENI ed EDISON, tra proprietà e comproprietà, affidatari di complessivi 3.611 kmq di permessi di ricerca, considerando anche i 4 permessi di ricerca di ENI MEDITERRANEA IDROCARBURI, che riguardano da soli 1.496,5 kmq.

I permessi di ricerca al momento risultano essere sospesi dal 13/2/2019 fino all’adozione del Piano per la Transizione Energetica Sostenibile delle Aree Idonee (PiTESAI) e comunque per un periodo non superiore a 24 mesi. (Legge 11 febbraio 2019 n. 12, art. 11-ter, commi 6-8). Oltre a questi permessi già rilasciati, sono 14 le istanze di permesso di ricerca presentate dalle diverse compagnie, 10 delle quali per la terraferma, per un totale di 4.203 kmq; le rimanenti 4 sono quelle presentate per il mare, per un totale di 1.203 kmq. Sono invece 2 le istanze di prospezione in mare per un totale di 6.380 kmq.

I “regali” alle fossili:  Dal 2010 al 2018 le concessioni produttive di greggio in Sicilia hanno estratto in totale circa 8,5 milioni di tonnellate di greggio di cui 2 milioni (23,8%) sono risultate esenti dal pagamento delle royalites (soglia di esenzione 50.000 tonnellate per concessioni in mare e 20.000 tonnellate per quelle a terra). In questi anni la soglia minima di esenzione è stata del 17,8% nel 2014, con il massimo raggiunto proprio nell’ultimo anno in cui la percentuale di esenzione è stata del 34,1%. Sempre per lo stesso periodo, le concessioni produttive di gas hanno estratto in totale 2.434 milioni di Smc, di cui 1.537 (il 63,1%) sono risultati esenti dal pagamento delle royalites (soglia di esenzione 25 milioni per concessioni a terra e 80 milioni per quelle a mare). In questi anni, la percentuale di esenzione è stata in continua crescita, mai scesa al di sotto del 50,6% del 2011, con il massimo raggiunto proprio nel 2018 in cui l’80,1% del gas estratto è stato esente dal pagamento delle royalties.

Concessioni: Altro tema caldo che coinvolge il tema delle estrazioni petrolifere, è quello del costo dei canoni di concessione sui quali il Governo è intervenuto, nel Decreto Semplificazioni, aumentandoli di 25 volte. Ma se li confrontiamo con quelli di diversi paesi europei – dove sono davvero di tutt’altro spessore – l’aumento registrato in Italia appare irrisorio. Infatti, si passa da 2,58 euro/kmq a 64,5 euro/kmq per i permessi di prospezione, da 5,16 euro/kmq a 129 euro/kmq per i permessi di ricerca e da 41 euro/kmq a 1.033 euro/kmq per le concessioni di coltivazioni. La proposta di canoni fatta da Legambiente, tiene conto della media degli altri Paesi europei, dove il costo dei canoni di concessioni è di altro livello. Ad esempio in Danimarca il permesso di ricerca ha un costo di 3.300 euro/kmq. In Norvegia si arriva a 8.150 euro/kmq e a 13.620 euro/kmq per la coltivazione. Per questo per Legambiente se si aggiornassero i canoni con cifre più adeguate, ad esempio in linea con quelli di altri Paesi Europei, le compagnie petrolifere per le estrazioni 2018 in Sicilia, verserebbero per prospezione, ricerca e coltivazione circa 32,9 milioni di euro a fronte dei soli 2,7 milioni di euro che verseranno nel Gettito 2019, stando ai nuovi importi. Ovvero circa 30 milioni di mancate entrate.

 

 

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