Continua la stagione “Radici per Restare” del Teatro dei 3 Mestieri di Messina, con Caronte/Cariddi, il primo appuntamento di teatroDanza, che andrà in scena venerdì 21 e sabato 22 dicembre alle ore 21.
“Da solo, sono l’ultima goccia di un mare, perduto, che non può ritrovarsi. Non c’è più acqua, né pesci, né venti, né tuffi, né navi, né mostri: tutto qui soffre l’eco dell’abbandono”.
Primo progetto di una trilogia ambientata sulla rilettura dei miti e degli elementi naturali dello Stretto di Messina, il lavoro è concepito come una provocazione visionaria, come un presagio scandito lentamente dagli esiti di malsane azioni umane in un’ipotetica relazione futura con il contraltare del progresso.
L’universo di Cariddi è inteso come un’evocazione immaginifica e il ricordo gestuale di tutto ciò che il mare possa custodire al suo interno: dagli esseri che lo abitano al suo naturale essere incontenibile e poetico, con i suoi profumi, la sua storia.
Si tratta di un paesaggio dell’anima e di valori perduti delimitati, di spazio e di tempo ingoiati in uno scenario malato, prosciugato, fatiscente, di fervida amarezza.
E’ nel nulla che si delinea questo tentativo, fragile, di protesta per un domani rigoglioso; è nella costruzione dell’assenza, in questa assenza cromatica e narrativa, che la performance scava in bilico tra la realtà e l’utopia, la memoria e l’oltretomba.
“Io ero, quell’inverno, in preda ad astratti furori. Non dirò quali, non di questo mi sono messo a raccontare. Ma bisogna dica ch’erano astratti, non eroici, non vivi; furori, in qualche modo, per il genere umano perduto… Questo era il terribile: la quiete nella non speranza… Credere il genere umano perduto e non aver febbre di fare qualcosa in contrario, voglia di perdermi, ad esempio, con lui… Ero agitato da astratti furori, non nel sangue, ed ero quieto, non avevo voglia di nulla…ma mi agitavo entro di me per astratti furori”.
L’incipit di Elio Vittorini ha dato vita, in questo primo studio, al sentimento di una danza totalmente libera. Un viaggio nella memoria di un Caronte giovane e dalla ferocia non ancora raggiunta, destinato a un orrendo compito di nocchiero dell’Ade. Uno sguardo intimo, quello di questa piéce, fuori dal tempo a dalla vita attiva, in un momento confidenziale misto di consapevolezza, rassegnazione, simbolismo e vuoto interiore. Una danza della morte, in attesa di anime per adempire ai propri doveri ci svela, quegli astratti furori del girovagare solitario e, il tentativo di un risveglio interiore di fronte al malessere e al senso di inerzia e impotenza nei confronti delle sofferenze del genere umano.