Brolo (Me): Domenico Barrilà in Sicilia. Il suo ultimo libro per raccontare i disagi generazionali e la necessità di un sistema educativo cooperativo e sociale.
Domenico Barrilà presente a Brolo, nel messinese, presso la sala Rita Atria, ha presenziato sull’ultimo libro da lui scritto “I superconnessi”. Psicoterapeuta e analista adleriano è impegnato nell’attività clinica che accompagna con produzioni editoriali, dai quali sono scaturiti quindici volumi, alcuni dei quali tradotti all’estero.
Tutti gli organizzatori hanno saputo centrare l’attenzione su un evento dal forte eco attuale.
Chi meglio di Barrilà, che coltiva interesse per la responsabilità sociale della psicologia, ha potuto ben illustrare una tematica che coinvolge oramai ogni singolo individuo, destandolo al necessario confronto verso qualcosa che appare enigmatica ed insormontabile.
Loquace con i suoi esempi, Barrilà palesa le difficoltà oramai evidenti di adolescenti ed adulti catapultati in un mondo tecnologico ambiguo, apparentemente etereo. E se i ragazzi stanno crescendo in questa dimensione, gli adulti ci si sono ritrovati. Ne viene fuori una generazione fragile che può facilmente confondere “l’informazione” con “l’educazione”. Ed ecco che le aspettative del singolo sulla rete trascendano l’onestà degli intenti. Noi diciamo di voler inseguire la verità ma altresì dimostriamo di voler attenzionare noi stessi, le nostre idee soggiogate dalle nostre aspettative. Chi scrive, posta, commenta sulla rete, lo fa perchè spinto da una morsa sociale positiva o per confermare qualcosa che lo aiuti attraverso “gli altri” a riempire se stesso? Gioco enigmatico di parole ed immagini che dimostrano l’insicurezza umana. La continua ricerca di conferme, di affermazione del proprio “io” estetico ed intellettuale. A chiunque piacciono i “like” ed ecco allora l’esempio del papa e della sua necessità di ritrovare anch’esso l’applauso, la conferma.
Barrilà attraversa tutte le fasi che ci coinvolgono in questa “vita virtuale”. Che cosa sta cambiando. In che modalità sta cambiando. Perchè tutto è cambiato e con quali conseguenze.
Sulla rete non vige il contatto umano, la presa dello sguardo. L’immaginazione apre lo spazio al sentire e sblocca la ritrosia fisica del presentarsi. Ed ecco che molto cambia. Non vige più l’investimento del corpo e se quest’ultimo è presente ciò avviene in modalità digitale. Cambia tutto, i parametri si capovolgono. Avviene una separazione tra il sentire fisico ed il sentire mediatico, la sensibilità ambientale viene catapultata in un’altra dimensione. Attraverso uno dei suoi semplici esempi spiega come noi se vediamo morire un animale di fronte ai nostri occhi ci rattristiamo ma non pensiamo (perchè assenti nella fisicità) di quanti siano gli animali che muoiono ogni giorno per cause da noi connesse. La smaterializzazione degli oggetti, degli esseri viventi consegue ad un comportamento diverso. Ed ecco ancora, che durante un viaggio ad Auschwitz tutti sono sereni ma è al ritorno che le menti si rattristano. Ciò equivale per la rete. Smaterializzare un contatto, un panorama, un odore, cambia i parametri degli atteggiamenti. Tutto ciò è avvenuto con un’accelerazione fortissima, destando maggiore squilibrio tra gli educatori e quindi destando una forte crisi nel sistema educativo.
I primi a dover riprendere le reti in mano sono gli educatori. Genitori, insegnanti, chiunque sia nel ruolo di guida sociale, deve, necessariamente riappropriarsi di ciò che gli compete. Il libro esorta ad uno scopo che appare quasi una missione: l’educatore deve riportare in armonia le nuove generazioni nell’interesse della collettività. Siamo degli esseri sociali ed è nostro dovere vivere in sinergia cooperativa.
Fanno riflettere alcuni atteggiamenti: tutti ciarlano sulle questioni scolastiche, ma solo l’8% dei genitori è presente ai consigli d’istituto; tutti drammatizzano sulla questione dei bulli esaltando la vittima e quasi dimenticando che ad essere compreso nel suo ambiente sociale deve essere proprio il bullo perchè il soggetto che desta reale preoccupazione; tutti a giudicare i giovani sui social, dimenticando di come utilizzano le reti gli adulti attraverso i loro esempi.
Diventa appunto inevitabile fare qualche domanda all’autore del testo:
Cosa l’ha spinta a pubblicare il libro i superconnessi?
R. Si tratta del secondo volume di una trilogia sulla gioventù. Il primo era intitolato “Quello che non vedo di mio figlio” e analizzava il distacco generazionale, le sviste degli adulti, l’incapacità dei grandi di superare i loro abusi di soggettività. Tra un anno uscirà una riflessione sul bullismo, che si prefigge di smontare alcuni luoghi comuni nefasti, la stessa operazione che avevo in animo di compiere con i superconnessi. Il favore di pubblico e della stampa mi fanno sperare di avere avvicinato l’obiettivo.
Non crede che i primi a dover essere rieducati siano proprio gli educatori che lei stesso ha definito impreparati?
R. Lei coglie un nodo fondamentale, gli adulti si sono comportati come quei bambini che sperano di scacciare un incubo tappandosi gli occhi, cosi, soprattutto su questo fronte, che di per sé è velocissimo, si sono persi anni preziosi.
A suo avviso in che modo è possibile riappropriarsi dei propri valori?
R. I nostri valori non sono necessariamente minati dall’avvento del digitale, semmai dalla violenza che in questi ultimi tempi si è insinuata in tutti gli ambiti della vita sociale, politica inclusa, o forse a cominciare dalla politica, e minaccia i soggetti meno difesi, come le donne e i migranti. Il digitale può fare da cassa di risonanza a barbarie piccole e grandi ma non è la fonte della violenza.
Dobbiamo riscoprire il valore principale dell’umanità, ossia la sua natura cooperativa, solidaristica, e contagiare di essa le nuove tecnologie.
Che futuro sociale immagina per queste nuove generazioni?
R. Posso dirle quello che spero più che quello che immagino. Spero che le giovani generazioni possano vivere un futuro da protagonisti “civili”, vorrei fossero loro a riportare i tratti migliori dell’umanità in tutte le attività della nostra specie, compresa quella comunicazione virtuale che troppo spesso offre spazio a manifestazioni superficiali e lesive dei propri simili.
Devono farlo prima di tutto per loro stessi, perché senza comunità civili e tolleranti il futuro diventa una lotteria.
In merito al lavoro che svolge, quale il suo prossimo obiettivo?
R. Glielo dicevo poc’anzi, completare la trilogia sulla gioventù e impegnarmi ancora di più sul territorio, affiancando tutti coloro che credono nel ruolo evolutivo -dell’individuo e della società- dell’educazione, L’educazione era e rimane unico antidoto al tutti contro tutti e, in definitiva, al ritorno nelle caverne. ..