A due anni dall’attentato contro l’ex presidente del parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci, la procura di Messina ha chiesto l’archiviazione per le 14 persone indagate per i fatti del 1 maggio 2016. Quel giorno si verificò un agguato ai danni dell’ex presidente del parco dei Nebrodi sulla strada che collega Cesarò e San Fratello.
Quella notte la strada era bloccata da alcuni massi. Antoci era a bordo di un’auto blindata e accompagnato dalla sua scorta con i poliziotti Sebastiano Proto e Salvatore Santostefano, il vice questore Daniele Manganaro e l’assistente capo Tiziano Granata. Vennero esplosi colpi di fucile a pallettoni verso l’auto blindata e gli agenti risposero al fuoco.
Dopo due anni di indagini non è stato possibile individuare l’identità di killer e mandanti. Le indagini si erano basate sui mozziconi di sigaretta trovati sul luogo dell’agguato, perizie balistiche, prelievi di dna, fotografie, sopralluoghi e intercettazioni sia telefoniche che ambientali.
I magistrati della Dda Angelo Cavallo, Vito Di Giorgio e Fabrizio Monaco hanno firmato il provvedimento di archiviazione, controfirmato dal capo della procura Maurizio De Lucia. Ora l’ultima parola spetta al gip.
L’ex presidente del parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci, doveva morire. È quanto emerso dalle indagini che dopo due anni avrebbero fatto luce sulle modalità dell’attentato. “Qualcuno adesso si vergogni” ha dichiarato a caldo Antoci ricordanto quanti nell’immediato hanno minimizzato il tutto.
Purtroppo non sono stati individuati gli esecutori dell’attentato ai danni di Antoci, ma è emerso che l’ex presidente del parco doveva morire, colpendo prima l’auto e poi, attraverso le molotov ritrovate, incendiarla e obbligare lui e gli uomini della scorta a scendere, per poi essere giustiziati.
“Altro che atto intimidatorio come alcuni avevano ventilato, giudando la macchina del fango – dichiara Antoci – viene fuori invece l’agghiacciante volontà del commando di uccidere me e gli uomini della scorta attraverso un attentato efferato e crudele”.
Pur trattandosi di una richiesta di archiviazione, che non chiude il caso ma che lo mette al riparo da problemi tecnico-giuridici, è venuta fuori, inequivocabilmente, la dinamica dei fatti. “Aspetto di leggere meglio le motivazioni della richiesta di archiviazione – continua Antoci – cercando di dare anche io il mio contributo, ma nel frattempo nessuno si illuda tra i mafiosi e i collusi che il pericolo è passato, l’impegno va avanti con convinzione e con quanti hanno gustato la libertà e la necessità di portare avanti nei Nebrodi, in Sicilia e nel Paese sani e puliti percorsi di legalità.
Ormai il Protocollo è legge, se ne facciano una ragione, – prosegue Antoci – ormai i mafiosi non potranno più accaparrarsi i Fondi Europei per l’agricoltura a discapito dei poveri e onesti agricoltori”.
Chiare le modalità dell’attentato e altrettanto chiara la paura degli intercettati di parlarne addirittura evidenziando una maniacale attenzione a bonificare le auto in cui viaggiavano dalla presenze delle microspie. “Forse un giorno uscirà il solito pentito – continua Antoci – che porterà ad assicurare alla giustizia i mafiosi che quella notte ci hanno attaccato. Del resto la storia della Sicilia ci ha insegnato che è solo grazie a loro e allo sforzo degli investigatori che, alla fine, si sono risolti indagini sugli più efferati agguati mafiosi che hanno insanguinato la Sicilia”.
“Oggi la Magistratura e le Forze dell’Ordine – conclude Antoci – mettono un punto fermo, pur non riuscendo a risalire alla difficile individuazione degli attentatori, chiariscono in maniera netta una cosa: Antoci andava ucciso, andava eliminato ed in un modo terribile e feroce. Coloro che in questi due anni hanno tentato di depistare, di infangare, di frenare tutto il percorso avviato hanno ormai una sola cosa da fare: Vergognarsi – conclude Antoci”.