Questa mattina sulla Gazzetta del Sud sono stati pubblicati i nomi dei 14 indagati per l’attentato a Giuseppe Antoci, presidente del parco dei Nebrodi. Oggi i nomi degli avvisati sono stati resi noti dalla Dda di Messina.
“Il business dei terreni e dei contributi europei per lo sviluppo rurale sono interessi eonomici in mano alle organizzazioni mafiose che il protocollo di legalità ha destabilizzato”. Così ha dichiarato Giuseppe Antoci, presidente del parco dei Nebrodi, dopo aver appreso i nomi dei 14 indagati.
Si tratta di nomi importanti, di elevato spessore criminale, tutti legati ai clan dei Pruiti e di Turi Catania. Tra questi anche quattro soggetti indagati per l’omicidio dell’allevatore Giuseppe Conti Taguali, ucciso barbaramente a colpi di lupara a luglio del 2014.
Gli indagati sono: Sebastiano Foti Belligambi; Giuseppe Conti Taguali, Sebastiano Musarra Pizzo, Salvatore ARmeli Iapichino detto Zecchinetta, Sebastiano Destro Pastizzaro, Daniele Destro Pastizzaro, Carmelo Fabio, Giuseppe Calà Campana, Nicola Antonio Karra, Antonino Foti detto Biscotto, Andrea Cerro, Giuseppe FOti Belligambi, Litterio Cerro e Carmelo Triscari Giacucco.
La maggior parte di loro sono gli stessi personaggi che lo scorso anno sono stati colpiti da interdittiva antimafia con conseguente revoca di migliaia di ettari di terreni ricadenti nel parco dei Nebrodi.
“Un danno economico consistente per questi soggetti che, da decenni, riusciano a garantirsi indisturbati affitti pluriennai di terreni ricadenti nel Parco, particolare questo che permette di incassare maggiori contributi Agea.
Si tratta di soggetti che – prosegue Antoci – con il protocollo si sono visti bloccare contributi per milioni di euro. Basti pensare che alcune di queste famiglie avevano in affitto fino a mille ettari di terreno suddivisi su più aziende per rimanere sotto la soglia dei 150 mia euro previsti per il certificato antimafia.
Ogni ettaro, ricadente in area di riserva naturale, permette di intascare, esentases, contributi dino a 1.300 euro all’ettaro. Stiamo parlando di cifre annuali stratosferiche – prosegue il presidente Antoci – che vengono bonificate direttamente sui conti correnti.
“E’ evidente – continua Antoci – che dietro organizzazioni di questo livello vi è a supporto una rete ben strutturata, che però l’impeccabile lavoro della magistratura ha portato alla luce. Questi clan vanno fermati e i terreni dati ai giovani, come stiamo facendo.
Hanno lucrato per anni su questo sistema – prosegue Antoci – senza bisogno di ricorrere a reati tipici come rapine e pizzo, ma con semplici truffe legalizzate. Il protocollo ha bloccato un business da milioni di euro, utilizzato dai clan mafiosi di tutta la Sicilia per conclamare il loro potere, nonché il completo controllo dei terreni e, attraverso la pressione e le minacce, anche dei poveri agricoltori e allevatori onesti.
Ma ormai – conclude il presidente del Parco, Antoci – la Sicilia con il protocollo di legalità ha dato esempio di vera lotta alla mafia, quella che segue, come diceva Falcone, i soldi e gli interessi e infatti a giorni, con grande soddisfazione, con l’approvazione del nuovo codice Antimafia in discussione al Senato, il protocollo Antoci, in toto recepito nella norma, diventerà legge dello stato Italiano e dunque un vero duro colpo per le infiltrazioni mafiose anche nelle altre regioni d’Italia”.
Adesso il dna degli indagati dovrà essere confrontato con quello ritrovato sui mozziconi di sigaretta trovati ai margini della strada provinciale dove il commando attese l’auto blindata di Antoci. Non sarebbero esclusi anche collegamenti con consorterie criminali di fuori regione.