Dopo tre anni di indagini serrate, questa mattina si è chiuso il cerchio attorno ad un giro di abigeati e macellazione clandestina di carni di animali non controllate e potenzialmente pericolose per la salute. Con l’accusa di abigeati e maltrattamento di animali, macellazioni clandestine e vendita al pubblico di alimenti pericolosi, 33 persone sono state arrestate dagli agenti di polizia di Sant’Agata di Militello nel messinese.
Al carcere di Gazzi sono stati rinchiusi Biagio Borgia, 30enne di militello Rosmarino e il 48enne di Alcara Li Fusi, Nicolino Gioitta. I due allevatori sono ritenuti dagli inquirenti al vertice dell’organizzazione criminosa che riceveva anche il supporto di medici veterinari dell’Asp di Sant’Agata di Militello.
Arresti domiciliari per la compagna e il cognato di Borgia: Tindara e Carmelo Ferraro; per Tindaro Agostino Ninone, titolare di una macelleria con sede a Mirto; per Carmelo Gioitta e Salvatore ARtino Inferno, nonché per Antonino Ravì Pinto, responsabile dell’area di igiene e salute dell’Asp e per i veterinari Fortunata Grasso, Sebastiano Calanni Runzo e Antonino Calanni.
Altri allevatori sono stati raggiunti da obbligo di dimora nei comuni di residenza. Si tratta di Sebastiano Conti Mammamica, Carmelo Galati Massaro, Giancarlo Fontana, Nicola Faraci, Antonio Faraci Treonze, Antonino Calò, Giuseppe Calcò Labruzzo, Giovanni Girbino, Aurelio Claudio Paterniti, Vincenzo Maenza, Tommaso Blandi, Giuseppe Oddo, Gaetano Liuzzo Scorpo, Nicolò Calanni, Luigi e Filadelfio Vieni, Sebastiano e Salvatore Musarra.
Divieto di dimora, infine, per Alberto Paterniti.
Ad essere stati sospesi dal servizio, invece, sono i tre veterinari Nicolò Mamone (un anno), Carmelo Scillia (8 mesi) e Onofrio Giglia (6 mesi).
Nel calderone dell’inchiesta anche il sindaco di Floresta, Sebastiano Mazzullo, in qualità di veterinario. Fra i nomi che spiccano, anche “il gruppo Borgia”, guidato da Biagio Salvatore Borgia, finito in carcere lo scorso anno in un’inchiesta relativa all’abigeato. Per il giudice per le indagini preliminari, l’allevatore di Militello Rosmarno avrebbe dimostrato grande spregiudicatezza nel reperire la selvaggina, uccidere animali a richiesta dei clienti senza tenere in conto la salute dei consumatori.
Grazie alle intercettazioni, sono emersi i rapporti dell’allevatore con la malavita organizzata di Tortorici e la stretta rete di aiuti su cui ha potuto contare grazie alla compagna Tindara Ferraro.
Il secondo gruppo ruota attorno all’allevatore di Alcara Li Fusi, Nicolino Gioitta. Sarebbe stato lui ad utilizzare la macelleria di Agostino Ninone, lungo la scorrimento veloce di Due Fiumare, per commercializzare la carne. In questo gruppo il braccio operativo sarebbe stato Artino Inferno con la compiacenza dei veterinari ravì Pinto, grasso e Calanni Runzo. I tre medici dell’Asp di Sant’Agata di Militello intervenivano dopo i furti per produrre documentazione falsa.
Maria Chiara Ferraù