Altre otto persone sono state arrestate dai carabinieri a Barcellona Pozzo di Gotto, nel messinese, nell’ambito dell’operazione antimafia Gotha 5. Le manette sono scattate ai polsi di Mario Pantè, vittoriese del 1970, residente a Mazzarrà Sant’Andrea; Giovanni Pino, milazzese 32enne residente a Furnari; Sebastiano Torre, 38enne di Mazzarrà Sant’Andrea; Salvatore Calcò Labbruzzo, 63enne residente a Tripi e originario di Tortorici; Giuseppe Ofria, barcellonese 21enne; Alessio Alesci, 25enne di Barcellona Pozzo di Gotto; Bartolo D’Amico, barcellonese 26enne e Marco Chiofalo, detto “Balduccio”, 22enne di Barcellona Pozzo di Gotto.
I carabinieri hanno dato così esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip del tribunale di Messina, Maria Luisa Materia, su richiesta del procuratore capo, Guido Lo Forte e dei sostituti procuratori Vito Di Giorgio e Angelo Cavallo della direzione distrettuale antimafia. Gli otto sono accusati di estorsione, porto e detenzione illegale di armi, reati aggravati per essere stati commessi con l’aggravante del metodo mafioso. Gli otto sarebbero i promotori di un’organizzazione dedita allo spaccio di droga nel territorio barcellonese.
Gli otto, attualmente detenuti per l’operazione Gotha 5, hanno ricevuto la nuova notifica nelle carceri di Palermo, Messina, Caltanissetta e Siracusa. I provvedimenti scaturiscono da una complessa attività d’indagine avviata nel 2013 sul conto del sodalizio mafioso riconducibile a Cosa nostra siciliana, operante sul versante tirrenico della provincia di Messina e della diramazione dei mazzarroti e rappresentano la prosecuzione dell’operazione Gotha V che ha individuato e colpito i nuovi assetti del sodalizio criminale, ponendosi in linea di continuità con le precedenti.
Grazie ai loro “affari”, il gruppo criminale faceva cassa e sosteneva in questo modo le famiglie dei detenuti. Le indagini di carabinieri e polizia si sono basate in prevalenza su intercettazioni telefoniche ed ambientali e sui connessi servizi di polizia giudiziaria. Sono stati così confermati i gravi fatti che hanno doevuto subire persone offese dei reati nel corso degli anni.
Significative anche le collaborazioni delle persone vessate. Gli investigatori hanno scoperto che Giovanni Pino e Sebastiano Torre avevano imposto ad una ditta di Furnari, impegnata in lavori edili stradali, il pagamento di una tangente nella misura del 2% dell’importo complessivo dei lavori, 55 mila euro, ottenendo pochi giorni prima del loro arresto, pun acconto di 600 euro quale “rata pasquale”, dopo aver convinto l’imprenditore con la collocazione di una bottiglia incendiaria presso il deposito della sua ditta e le conseguenti intimidazioni quali componenti dell’associazione mafiosa.
Alla ricostruzione del fatto si è giunti attraverso le intercettazioni ambientali che hanno consentito di documentare “in diretta” le diverse fasi dell’approccio estorsivo. Nel medesimo contesto di indagini, Mario Pantè, è stato arrestato per lo stesso reato di estorsione con l’aggravante mafiosa, commesso in danno del titolare di una struttura alberghiera dal quale aveva preteso a nome dell’associazione mafiosa dei “mazzaroti” il pagamento di una tangente di 1.000,00 euro. Lo stesso titolare era rimasto vittima anche di altri due componenti della cosca di Mazzarrà Sant’Andrea: Giuseppe Cammisa e Sebastiano Torre, arrestato ad aprile nell’operazione Gotha V, ai quali aveva dovuto corrispondere un’altra rata di mille euro a titolo di pizzo.
L’attenzione dei Ros si è soffermata nel completare il quadro indiziario nei confronti dell’indagato Salvatore Calcò Labbruzzo, personaggio già colpito da ordinanza di custodia cautelare nell’operazione Gotha condotta a luglio del 2011 in quanto ritenuto anello di congiunzione tra la famiglia mafiosa dei barcellonesi e la cosca dei tortoriciani.
Con l’ordinanza dell’8 aprile 2015 la posizione processuale del medesimo era stata già oggetto di disamina del Gip, a seguito delle dichiarazioni accusatorie dei collaboratori Santo Gullo e Salvatore Artino, che avevano riguardato le specifiche responsabilità del predetto in merito all’estorsione nei confronti di una società.
A seguito dell’operazione Gotha V dello scorso aprile, Alessio Alesci, Bartolo D’Amico, Marco Chiofalo e Giuseppe Ofria, erano stati sottoposti alla misura custodiale in carcere per un episodio di spaccio di droga. In quel contesto il tribunale della libertà aveva ritenuto non sussistente l’aggravante del metodo mafioso.
Le risultanze delle intercettazioni, che costituiscono l’architrave delle odierne contestazioni, hanno consentito di ravvisare che l’attività di spaccio di cui rispondono gli indagati, non è sporadica ma stabilmente consolidata all’interno della quale ogni sodale, con ruolo differente, è impegnato nel produrre la maggior ricchezza possibile attraverso la distribuzione nel mercato della droga. In tale contesto risaltano le figure di Alessio Alesci e Giuseppe Ofria, ritenuti vertici e promotori della predetta organizzazione.
La medesima attività tecnica ha permesso di dimostrare che gli indagati, nell’ambito dell’attività illegale posta in essere, abbiano avuto la disponibilità di armi, come emerso in maniera esplicita dalle conversazioni intercorse tra Marco Chiofalo e Giuseppe Ofria, nel corso delle quali il primo è stato redarguito dal secondo per non aver dimostrato particolare cautela nella custodia di una pistola a suo tempo detenuta in casa – e tra Bartolo D’Amico e Alessio Alesci, foriere di esplicite ammissioni a proposito del loro porto ed uso in pubblico.
Maria Chiara Ferraù