Sei condanne per 119 anni complessivi. È quanto chiede il sostituto procuratore della Direzione Distrettuale Antimafia di Messina, Giuseppe Verzera, per il processo scaturito dall’operazione denominata Pozzo per estorsioni ai danni di commercianti ed imprenditori.
La condanna più pesante è stata chiesta per Antonio Bellinvia: 24 anni di reclusione. Per Tindaro Calabrese, considerato il reggente del clan dei Mazzarroti, è stata chiesta la pena di 22 anni di reclusione e per il boss Carmelo D’Amico, 20 anni. Il pubblico ministero ha chiesto per Antonino Calderone e Mariano Foti, 18 anni di reclusione ciascuno e per Gaetano Chiofalo, infine, 17 anni di reclusione.
I sei, tutti rinviati a giudizio sono accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa ed estorsione. Il processo riprenderà il prossimo 22 novembre. La sentenza dovrebbe arrivare prima di Natale.
L’operazione “Pozzo” era scattata nel 2009 e ha permesso alla Dda di Messina di ricostruire la mappatura della mafia barcellonese e i suoi rapporti con quella catanese e palermitana. Grazie a questa inchiesta a cui ne seguirono altre più recenti, come quella denominata Gotha e con i vari filoni Pozzo 2, si è fatta luce su delitti di varia natura: estorsioni, usura, gioco d’azzardo, condizionamenti esercitati su imprenditori vincitori di appalti pubblici da parte dei sodalizi malavitosi della fascia tirrenica del messinese.
Dalle indagini, inoltre, è emerso che l’organizzazione criminale, oltre a vessare commercianti e imprenditori con intimidazioni ed estorsioni, esercitava anche il controllo su diversi locali notturni della zona e avrebbero gestito il gioco d’azzardo e l’usura.