Si terrà sabato 25 febbraio alle 16.30 la lezione del corso di archeologia medievale promosso da BCsicilia in collaborazione con il dipartimento culture e società dell’università di Palermo, il museo civico, l’università popolare di Termini Imerese e la parrocchia San Nicola di Bari.
Dopo la presentazione di Alfonso Lo Cascio, presidente regionale BCsciilia, è prevista la conferenza dal titolo “L’habitat rupestre medievale nell’entroterra ennese: indagini e prospettive di ricerca” che sarà tenuta da Daniela Patti, docente di archeologia cristiana e medievale all’università degli studi di Enna, “Kore”. L’incontro si svolgerà nella chiesa di Santa Maria della Misericordia.
Il goirno successivo, domenica 26 febbraio, è prevista la visita guidata ai castelli delle Madonie. Per informazioni 346.8241076 – Email: terminiimerese@bcsicilia.it. Facebook: BCsicilia. La specificità del nostro patrimonio culturale consiste nell’integrazione tra beni culturali e paesaggio che ormai costituisce un elemento essenziale della nostra cultura, del nostro modo di essere, della nostra “identità”, così come ha evidenziato più volte Salvatore Settis che insiste da tempo sul fatto che la specificità dei beni culturali italiani sia costituita dalla presenza diffusa, dal continuum di presenze o beni, grandi e piccoli, nelle città, nelle campagne, lungo le coste. Secondo tale visione aperta e dinamica del patrimonio culturale, richiamata nella Convenzione di Faro, occorre incentivare lo sviluppo di una sensibilità condivisa che aiuti a riconoscere il patrimonio culturale come proprio senza cercare a tutti i costi la “bellezza”, senza gerarchie né priorità.
Negli ultimi anni le ricerche sulla civiltà rupestre nell’Italia meridionale, condotte secondo un approccio multidisciplinare e globale che prevede anche l’utilizzo di tecniche avanzate di documentazione, hanno portato ad una rivisitazione complessiva dello studio dell’habitat rupestre, non più isolato alla decorazione pittorica che costituisce l’aspetto apparentemente più eclatante, anche se molto meno diffuso, di questo tipo di insediamento.
L’attenzione si è, dunque, focalizzata sullo studio del paesaggio e dell’habitat rupestre inteso come modello insediativo non alternativo, né inferiore, a quello urbano, bensì come fenomeno specifico, ambientale, all’interno della complessa realtà insediativa dell’Italia Meridionale e della Sicilia dall’Antichità.
Il popolamento rupestre, infatti, ha attraversato tutte le civiltà: il vivere in grotta è solo uno dei tanti modi dell’abitare che l’uomo ha scelto in molte aree, perché caratterizzate da un contesto geomorfologico che permette lo scavo di “strutture in negativo” utilizzate spesso in maniera continuativa per scopi diversi: abitazioni, luoghi di culto necropoli, palmenti, frantoi, stalle o, ancora, magazzini. La questione del “vivere in grotta” è stata al centro dei dibattiti storiografici di questi ultimi anni, in cui si è proceduto ad una parziale revisione del fenomeno insediativo, interpretato non più soltanto alla luce della presenza monastica eremitica e cenobitica di culto greco o latino che ha costretto per lungo tempo a vedere la grotta nella limitativa accezione di “cripta eremitica” o ancora peggio, a considerare il vivere in grotta come segno di “subalternità culturale sociale”.
’habitat rupestre, fenomeno insediativo di lunga durata comune a molte aree del Mediterraneo, nonostante le problematiche della ricerca connesse alle ricognizioni sul territorio e alla difficoltà di stabilire una cronologia assoluta, in mancanza spesso di riscontri archeologici sistematici e di fonti, ci restituisce il tessuto connettivo dell’insediamento nell’antichità, utilizzato senza soluzione di continuità con diversa destinazione funzionale.
Anche nella Sicilia centrale, lo studio puntuale degli insediamenti rupestri, con particolare riguardo all’origine, alle trasformazioni, alle rifunzionalizzazioni, alla viabilità, ma anche alle forme devozionali, può fornire indicatori utili per la comprensione delle dinamiche insediative di quest’area ancora per certi versi trascurata dalla ricerca scientifica sistematica.
Daniela Patti è professore associato di Archeologia cristiana e medievale presso l’Università degli Studi “Kore” di Enna. Ha approfondito lo studio delle dinamiche insediative nel territorio ennese in età tardoantica e medievale, con particolare riferimento all’habitat rupestre, alla viabilità antica, ai luoghi forti del territorio, alla cultura materiale, oggetto delle monografie e dei numerosi contributi sia su riviste nazionali che internazionali. Il censimento delle unità rupestri, grazie anche alle numerose ricognizioni effettuate negli anni, ha permesso di disporre di una catalogazione scientifica delle testimonianze archeologiche tardoantiche e medievali in particolare nell’area centro settentrionale dell’ennese. Negli ultimi anni, grazie anche all’analisi iconografica, si è occupata della diffusione di alcuni culti nell’ennese in età bizantina e altomedievale con particolare riferimento alle trasformazioni e/o continuità.
Ha partecipato a numerosi scavi archeologici anche all’estero. Dal 2012 al 2017 è stata responsabile scientifico dell’Università di Enna del Progetto FIRB, finanziato dal MIUR Spazi sacri e percorsi identitari. Testi di fondazione, iconografia, culto e tradizioni nei santuari cristiani italiani fra tarda antichità e medioevo che ha coinvolto le Università di Bari (capofila), Enna, Padova, Roma. Negli ultimi anni ha approfondito lo studio dei santuari e degli spazi sacri con particolare attenzione alla cristianizzazione e alla trasformazione dei paesaggi nella longue durée nonché agli aspetti relativi alla metodologia di rilievo, alla documentazione e alla valorizzazione dei contesti indagati. Tra le pubblicazioni si segnalano: Villa del Casale di Piazza Armerina: le lucerne degli scavi Gentili; Il contesto territoriale di Nissoria. Tra Tardoantico ed Età Moderna; Rometta. Paesaggio. Archeologia. Arte e Storia; Spazi e percorsi sacri tra Tarda Antichità e Altomedioevo. Archeologia, Storia e Nuove Tecnologie.