Duro colpo al clan mafioso di Barcellona Pozzo di Gotto, centro del messinese. Sono state ben 86 le misure cautelari eseguite oggi dai carabinieri del comando provinciale di Messina, emesse dalla procura distrettuale antimafia di Messina. Ottantuno le persone in manette (53 in carcere e 28 ai domiciliari), mentre per altri cinque sono stati disposti gli obblighi di presentazione alla polizia giudiziaria. Il gruppo mafioso imponeva i propri buttafuori nei locali della costa tirrenica, esigeva il pagamento del pizzo e puntava anche su nuovi traffici di droga. Il gruppo, inoltre, reinvestiva i proventi illeiti in attività lecite nel settore dell’ortofrutta anche grazie all’aiuto di insospettabili.
Ora gli indagati dovranno rispondere di diversi reati: associazione di tipo mafioso, estorsione, scambio elettorale politico-mafioso, trasferimento fraudolento di valori, detenzione e porto illegale di armi, incendio, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, sfruttamento della prostituzione con l’aggravante del metodo mafioso.
Le indagini erano state avviate nel 2018 e sono state coordinate dalla procura distrettuale di Messina e hanno portato oggi alla disarticolazione della famiglia mafiosa dei barcellonesi i cui esponenti avevano scontato già una condanna per mafia e una volta liberi erano tornati alle loro attività di sempre. In particolare i boss Carmelo Vito e Mariano Foti che erano riusciti a far tornare la cosca barcellonese agli “splendori” del passato.
Un passato costellato anche da morti, come quella del giornalista barcellonese Beppe Alfano che da corrispondente del quotidiano La Sicilia raccontava la mafia della sua città e perse la vita in un agguato mafioso l’8 gennaio del 1993. Oggi la mafia barcellonese era tornata a splendere anche per l’atteggiamento di alcune persone nei confronti dei padrini tornati in libertà, chiamati in causa anche per cercare consensi elettorali. Le intercettazioni dei carabinieri del reparto opreativo di Messina raccolte in questi ultimi anni, hanno fatto emergere proprio l’atteggiamento nei confronti dei boss, cercati per risolvere le questioni più diverse. Nessuno degli imprenditori taglieggiati, inoltre, ha mai pensato di denunciare i boss mentre altri ritenevano conveniente per i loro affari abbracciare i padrini scarcerati.
I vari boss mafiosi di Barcellona Pozzo di Gotto erano finiti alla sbarra degli imputati nei vari procedimenti penali degli ultimi decenni, scaturiti dalle indagini “Mare nostrum”, “Icaro”, “Vivaio”, “Pozzo”, “Gotha” e “Dinastia”. Grazie a quei processi erano finiti in carcere capi storici e gregari. Appena scarcerati, però, ritornavano tutti a ricoprire il ruolo che avevano avuto in precedenza. Era stata ricostruita un’alleanza tra i vertici della famiglia mafiosa barcellonese, in passato allontanatisi, per imporre una regia unica alle sistematiche attività delittuose e ripristinare una cassa comune (chiamata paniere, bacinella) dove far confluire i proventi illeciti, in parte destinati al sostentamento degli affiliati ristretti in carcere e delle loro famiglie.
Una riorganizzazione mafiosa che non ha riguardato solo la riscossione sistematica e programmata delle estorsioni ai danni di imprese e negozi, da prelevare a Pasqua, Natale e Ferragosto, ma anche la pianificazione ed esecuzione di azioni intimidatorie quali incendi e violenze fisiche che hanno certamente sortito l’esito voluto, come dimostrato dalla mancanza di collaborazione da parte delle vittime che non hanno denunciato il rinvenimento di bottiglie incendiarie.
Le indagini, inoltre, hanno permesso di rilevare come l’associazione mafiosa fosse in possesso di armi, anche da guerra e si fosse prodigata per monopolizzare le attività delittuose nel territorio. Lo faceva non solo imponendo il pizzo agli imprenditori locali, ma anche controllando il business della prostituzione, l’approvvigionamento di ingenti quantitativi di droga destinata alle piazze di spaccio di Barcellona, Milazzo e altri comuni della provincia; la gestione di bische clandestine dove promuovere il gioco d’azzardo; la capacità di stabili interlocuzioni con altre consorterie mafiose siciliane e calabresi.
La mafia aveva messo le mani anche sulle elezioni, in particolare sulle amministrative del 4 e 5 ottobre del 2020 a Barcellona Pozzo di Gotto. Sono state intercettate conversazioni tra un uomo di spicco dell’associazione mafiosa e soggetti appartenenti al mondo della politica, indicative di una promessa in cambio di posti di lavoro o altre utilità, di supporto elettorale ad un candidato..
Nel corso dell’operazione, inoltre, sono state sequestrate in via preventiva tre società di cui una operativa nel settore immobiliare e utilizzata per agevolare lo svolgimento dell’attività della prostituzione e le restanti nella vendita all’ingrosso di ortofrutta, riconducibile agli indagati. Sequestrati anche 4 immobili, di cui due impiegati come case di prostituzione e due fittiziamente intestati, nonché un locale e un veicolo per un valore complessivo di 1 milione di euro.
Un secondo filone di indagini è stato avviato in seguito alla scarcerazione di un sodale di spicco della famiglia barcellonese, deputato alla gestione del traffico di stupefacenti e finalizzate ad approfondire e contrastare lo specifico settore illecito. Questo ha permesso di individuare due associazioni che alimentavano a vario titolo le piazze di spaccio non solo di Barcellona, ma anche di altri comuni dell’area tirrenica tra cui Rodì Milici, Terme Vigliatore e Milazzo spingendosi anche a Messina e a centri situati sulla fascia ionica della provincia, nello specifico Letojanni e Giardini Naxos. Nel corso dell’indagine, inoltre, sono stati sequestrati 19 Kg di droga tra cocaina, marijuana e hashish.
Il terzo filone di indagine è stato sviluppato dai carabinieri di Milazzo e ha permesso di documentare la filiera al dettaglio dello spaccio di sostanze stupefacenti tra cui anche Lsd e cocaina, approvvigionate da due distinti gruppi criminali e distribuite nell’area di Milazzo, della Valle del Mela, del barcellonese e nelle isole Eolie. Accertata anche la disponibilità, in capo ad alcuni indagati, di armi da fuoco, nonché il ricorso a minacce, percosse e danneggiamenti per riscuotere i proventi di cessioni non ancora onorate, nonché la commissione di svariati furti ai danni di abitazioni, una scuola e diversi esercizi pubblici, tutti commessi per assicurarsi il danaro per l’acquisto di partite di sostanza stupefacente.
In carcere sono finiti: Andrea Alesci, Antonino Santo Alesci Lo Presti, Giovanni Biondo, Antonino Bonaffini, Jordan Brunini, Gianluca Campo, Alessio Catalfamo, Angela Chiofalo, Bartolo Costantino, Antonino Crea, Felice De Pasquale, Angelo Tindaro De Pasquale, Carmine Di Natale, Antonino Falcone, Carmelo Vito Foti, Francesco Salvatore Foti, Mariano Foti, Fabrizio Garofalo, Salvatore Gatto, Giusi GIardina, Pietro Guerriera, Filippo Iannello, Maurizio Iannello, Giovanni Imbesi, Enrico Mara, Antonino Mazzeo, Vincenzo Mazzeo, Steven Meo, Roberto Merlino, Raul Antonio Milici, Agostino Milone, Giampiero Munafò, Vincenzo Nucera, Ottavio Perdichizzi, Angelo Porcino, Santos Cardoso Aldenice, Carmelo Tindaro Scordino, Maurizio Giacomo Sottile, Filippo Torre, Salvatore Antonino Triolo, Francesco Aiello, Giovanni Alessi, Stellario Bernava, Alfio Campo, Giuseppe Chiofalo, Giovanni Cutroneo, Carmelo Donato, Tindaro Giardina, Antonino Pirri, Piero Salvo, Antonio Zocca, Tommaso Pantè, Gabriele Antonino Abbas e Alessandro Abbas.
Arresti domiciliari, invece, per: Mariano Calderone, Fortunato Caranna, Salvatore Torre, Massimo Abbriano, Enrico Albergo, Davide Canevari, Stefana De Luca, Natale Morasca, Youness Marouine, Stefano Bartuccio, Carmelo IMbesi, Maria Pittari, Carmelo Caggegi, Floramo Domenico, Franco Salvatore, Alessandro Giusti, Antonino Iacono, Carmelo Mazzù, Mohamed Hajjoubi, Matias Jesus Piccolo, Salvatore Torre Lo Duca, Teresa Morici, Maria Di Biase, Caterina Papale, Emanuele Patrick, Massimo Pirri e Filippo Rosario Natoli.
Infine, obbligo di presentazione per: Antonino Chiofalo, Antonio Fugazzotto, Marco Bartolomeo Lo Presti, Alessandro Mirabile e Santi Manuel Scardino.
“Ancora conferme su quanto la provincia di Messina sia uno snodo delicato per gli affari mafiosi che hanno Barcellona come punto nevralgico – dichiara Giuseppe Antoci, ex presidente del parco dei Nebrodi e presidente onorario della fondazione nazionale Caponnetto – alla Dda di Messina, al procuratore Maurizio De Lucia e ai suoi sostituti, ai carabinieri del comando provinciale di Messina il mio grazie e i miei complimenti per l’incessante lavoro che, in questi anni, ha permesso di assicurare alla giustizia centinaia di mafiosi e sequestrato beni per milioni di euro. Oggi, ancora una volta, si è affermata la forza dello Stato”.
“L’operazione condotta questa mattina – dichiara Pippo Scandurra, vice presidente nazionale di Sos impresa, rete per la legalità – rappresenta l’ennesima dimostrazione della presenza forte dello Stato sul nostro territorio.
Proprio in questo comprensorio – prosegue Scandurra – l’attività costante del nostro movimento, con le associazioni locali di rete per la legalità Messina, presieduta da Giuseppe Ruggeri; Barcellona, presieduta da Rosario Triolo e Milazzo presieduta da Francesco Arcadi, ha portato a significative collaborazioni di alcuni imprenditori con le forze dell’ordine e la magistratura. Il nostro ringraziamento va oggi alla DDA di Messina, al procuratore Maurizio De Lucia e ai suoi sostituti, ai carabinieri del comando provinciale di Messina, per l’ennesimo duro colpo inferto alla criminalità organizzata, ad ulteriore garanzia a tutela della gente onesta nonché stimolo per tutti gli imprenditori a fidarsi dello Stato e denunciare ogni tipo di ingerenza da parte della malavita”.