Con la conferenza dei servizi dello scorso 13 dicembre si è concluso il riesame dell’Autorizzazione Integrata Ambientale della Raffineria di Milazzo con la prescrizione del limite di 20 mg/Nm3 al camino (E10) dove avviene il recupero di zolfo. Un misura non prevista per nessun’altra raffineria e non contemplata in nessuna normativa, e tra l’altro, non raggiungibile tecnicamente perché imposto proprio su un impianto di sostenibilità ambientale che ha la funzione – e questo è il paradosso – di recuperare lo zolfo alla fine del processo di raffinazione, evitandone la dispersione nell’ambiente.
Nonostante ciò quella prescrizione con la firma del decreto diverrà comunque obbligatoria e, poiché tecnicamente impraticabile, determinerà il fermo degli impianti e la conseguente chiusura del sito. Nel momento cruciale della ripartenza economica, nel mezzo della transizione energetica, nel pieno di una dura competizione tra impianti concorrenti e proprio mentre il numero delle raffinerie nel Paese continua a ridursi, chiudere un sito come quello di Milazzo è una tragedia ed uno schiaffo in faccia al lavoro, all’economia ed all’occupazione di questa provincia. Ma le cose non capitano per caso.
L’Autorizzazione Integrata Ambientale per l’impianto di Milazzo era stata riconosciuta nel 2018 e sarebbe dovuta scadere nel 2027. Già il governo regionale aveva esitato Il Piano Regionale di Tutela della Qualità dell’Aria ed il ministero, successivamente aveva dato avvio al processo di riesame per armonizzare l’AIA alle prescrizioni indicate in quel piano. Ne è seguito un logico periodo di incertezza e quindi un inopportuno stop che ha ritardato gli investimenti sulla sostenibilità colpendo, di conseguenza, ancora economia ed occupazione.
Il TAR ha poi cassato quel piano proprio per le incongruenze in esso contenute ed anche il riesame che ne era seguito si è dimostrato inutile. Successivamente alcune amministrazioni comunali hanno avviato ricorsi contro il ministero sostenendo – a loro dire – che l’AIA del 2018 avrebbe imposto vincoli meno stringenti di quella precedente. Una tesi che, benché sia smentita dai dati oggettivi, ha spinto inspiegabilmente il ministero ad avviare un ennesimo riesame, anziché – come sarebbe stato logico fare – difendere le proprie ragioni nel giudizio.
L’esito della conferenza dei servizi dell’altro giorno nasce da quella scelta ed è dunque solo l’epilogo di una lunga mirata strategia volta a chiudere i cancelli dell’ultima grande realtà produttiva della provincia e far fuori un un’ingombrante concorrente dal mercato della raffinazione. Le norme in vigore dettano per gli impianti delle BAT precise e ben differenziate che implicano l’applicazione di prescrizioni rigide in materia di salute e ambiente, ma se da tutte le parti si invocano misure eccezionali per contrastare una criticità ambientale ed un allarme sanitario in verità mai accertati (su alcuni aspetti sanitari, lo stesso studio SENTIERI dice di basarsi su un numero di casi statisticamente non significativo), allora vuol dire che i temi sono pretestuosi e non si cerca una soluzione condivisa, bensì divisiva, con il risultato che salute e lavoro rimangono concetti non armonizzabili. Anziché ragionare sulle misure reali e sul controllo che comporta un grande impianto industriale si è fatto leva sulle paure della gente.
È stata contestata da più parti la mancanza di centraline di rilevamento e studi per accertare il reale stato ambientale del comprensorio e condividendo ciò abbiamo costretto RAM e gli enti locali dentro un protocollo attraverso il quale si potessero trovare i soldi per le centraline e gli esperti, lasciando alle amministrazioni comunali la scelta su come gestire i rilevamenti e quali esperti individuare per gli studi da sviluppare. Tutto ciò è stato comunque ritenuto insufficiente. Senza rilevamenti e senza studi scientifici si è continuato ad affermare, in virtù di non si sa quale autorità, che è la raffineria la causa di tutti i mali del comprensorio, mentre ancora stiamo aspettando risposte concrete su quale sia lo stato dell’ambiente e su come la popolazione possa senza intermediari leggere in tempo reale cosa sta respirando.
Chi asseconda tali convinzioni presso l’opinione pubblica non fa altro che divaricare la distanza che esiste oggi fra lavoro e salute, e dalla politica – territoriale, regionale e nazionale – ci aspettiamo non solo la difesa del sito industriale ma anche, se non soprattutto, di capire come e con cosa potremo sostituire la dimensione economica che la raffinazione ha tenuto in piedi per più di sessant’anni, una volta che questa sarà giunta alla fine del suo naturale ciclo. Sarà necessaria una dimensione produttiva adeguata a garantire ancora il lavoro in questa provincia e all’orizzonte nulla si vede, mentre tutti si concentrano invece su sterili slogan e sullo smantellamento di ciò che resta dell’apparato industriale del quale, va sottolineato, nessuna economia progredita – sia essa territoriale o nazionale – può fare a meno.
La storia anche recente dimostra che dalle nostre parti quando una fabbrica chiude nulla la sostituisce e restano solo macerie, disoccupazione e povertà. Contro questa logica e per riaffermare la capacità di un territorio di poter valutare e fare le proprie scelte nel rispetto delle difesa della salute, dell’ambiente e del lavoro il sindacato non esiterà ad attivare la mobilitazione e la protesta, in tutte le forme che si riterranno necessarie per la difesa di ogni singolo posto di lavoro”.