Milazzo (Me): incontro: “Ti racconto il mio paese, Capizzi”

 “Ti racconto il mio paese” è una serie di diciotto incontri promossi dall’Università della terza età di Milazzo. Giovedì 23 (ore 16) tocca a Capizzi. A parlarne nell’Aula magna dell’Istituto “Majorana” sarà Giuseppe Restifo, che non è capitino, ma che sulla storia di Capizzi ha pubblicato un volume e diversi interventi su riviste e a convegni.

La conversazione su Capizzi ha un sottotitolo: “La montagna messinese in mezzo al Mediterraneo”. Quindi dal mare di Milazzo si alzerà lo sguardo ai 1132 metri d’altezza, per andare a cogliere la storia di quello che non è un borgo fra i tanti, ma un paese di montagna appunto, sui Nebrodi, con una vicenda avvincente e plurisecolare. A partire dal tempo di Federico II, imperatore e re di Sicilia, Capizzi è riottosa al dominio feudale: vuole essere – e ci riesce – città demaniale, in modo da autogovernarsi e da governare le risorse della montagna. Il panorama che si apre fra il medioevo e l’età moderna è sorprendente agli occhi di chi oggi guarda dalle grandi città alla montagna, considerandola luogo povero, arretrato e spopolato.

La capacità dei capitini – o “capizzuoti” in lingua siciliana – di “comprendere” le risorse delle “terre alte” è inattesa così come è eccezionale l’attitudine alla “co-evoluzione” con l’ambiente. Persino la neve, che tanto fastidio dà all’attuale circolazione automobilistica, è una grande risorsa per il territorio nebroideo: la si conserva in inverno per averla in estate pronta per i sorbetti e le granite.

Il libro di Restifo sulla storia capitina ha ricevuto una entusiastica recensione in Spagna e si capisce bene il perché: Capizzi è la Santiago siciliana. Ha un Santuario di San Giacomo famoso, conserva una reliquia del Santo Apostolo, lo celebra con una festa che è stata iscritta nel grande libro delle “Eredità immateriali” della Civiltà siciliana.

San Giacomo e Capizzi hanno una storia intrecciata di pellegrinaggi (come Santiago de Compostela), di devozioni e di narrazioni miracolose. Si va quindi alla radice dell’identità di questi messinesi – un po’ anche ennesi, per la verità – che per secoli, e ancora oggi, abitano una delle montagne del Mediterraneo, un mare in mezzo alle terre, spesso “terre alte”.

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