Messina: truffa e falso, indagati 3 dirigenti medici

Intascavano in nero gli onorari delle loro visite. Per questo tre dirigenti medici in servizio in un ospedale di Messina sono stati indagati, a diverso titolo, di peculato, truffa aggravata e falso in atto pubblico. Gli agenti della guardia di finanza hanno anche sequestrato più di 65.000 euro nei confronti di tre dirigenti medici in servizio in un noto ospedale cittadino.

L’operazione scaturisce da una complessa indagine in materia di spesa pu bblica nel comparto della sanità, coordinata dalla procura di Messina, finalizzata a verificare il rispetto della disciplina dell’esercizio dell’attività libero professionale intramuraria. Uno dei tre medici era stato raggiunto da provvedimento interdittivo lo scorso 9 settembre.

Le indagini sono state effettuate dagli specialisti in materia di spesa pubblica del nucleo di polizia economico finanziaria di Messina, con il coordinamento di un pool di magistrati della procura della repubblica di Messina che si occupano del contrasto ai reati contro la pubblica amministrazione.

Gli accertamenti sono stati svolti attraverso l’esecuzione di plurime attività tipiche di polizia giudiziaria, quali perquisizioni, acquisizioni documentali, attività di osservazione e pedinamento, nonché articolate ricostruzioni contabili, che hanno trovato riscontro all’esito di intercettazioni telefoniche.

A finire nel mirino delle giamme gialle sono stati due dirigenti medici: l’endocrinologo D.F.C., 56 anni e il cardiologo S.S., 65 anni. Nel corso delle indagini sono stati trovati pazienti in attesa di essere visitati, agende e strumentazioni che comprovano l’attività svolta dai medici. L’operazione proseguita in pieno periodo pandemico, rientra nell’ambito della generale intensificazione del monitoraggio del delicato comparto della sanità pubblica, ancora purtroppo fortemente impegnato nella gestione dell’attuale delicata fase di monitoraggio e gestione dei contagi e assolutamente necessitante di risorse economiche che non possono essergli sottratte a causa di comportamenti scorretti. In pratica i medici ricevevano contanti direttamente dalle mani dei pazienti. Inoltre, in alcune circostanze attestavano visite prestate in ospedale mentre in realtà ricevevano i pazienti in uno studio privato esterno all’ospedale.

E, ancora, percepivano indebitamente un’indennità aggiuntiva stipendiale cosiddetta di esclusività del rapporto d’impiego pubblico e le somme percepite per quella parte di attività svolta regolarmente all’interno delle mura ospedaliere. Per uno dei tre indagati: M.F., 52 anni, il Gip ha ritenuto sussistente l’ipotesi di truffa aggravata ai danni dell’ente pubblico, per la percezione dell’indennità di esclusività, avendo ingannato il datore di lavoro per non aver rispettato l’obbligo di unicità d’impiego, disponendo il sequestro delle somme percepite.

Per effettuare visite negli ospedali i medici legati all’azienda pubblica da rapporto di esclusività, possono effettuare tali visite fuori dall’orario di lavoro, su libera scelta e su richiesta dell’assistito paganto, oltre a dover essere oggetto di espressa autorizzazione e a determinate condizioni e prevede che l’utenza prenoti la visita tramite il centro unico di prenotazione della struttura aziendale (CUP) e, prima dell’effettuazione della prestazione, il paziente provveda al pagamento all’ufficio ticket dell’importo dovuto, secondo apposito tariffario predeterminato dall’ospedale pubblico.

Il medico riceve poi gli emolumenti di sua pertinenza direttamente in busta paga. Quindi il medico che visita intra moenia e si fa pagare dagli stessi clienti commette ovviamente un reato. I tre professionisti, tutti operanti nello stesso ospedale, legati da un contratto di esclusività, effettuavano visite specialistiche all’interno del reparto, richiedendo e ricevendo da una significativa platea di clienti il pagamento in contanti delle relative visite specialistiche, omettendo di rilasciare qualsiasi ricevuta fiscale, nonché di versare all’azienda sanitaria la percentuale dovuta, ovvero ricevevano i pazienti in studi privati non dichiarati al fisco.

Uno degli indagati, addirittura, per i clienti che richiedevano la fattura anche se pagavano in contanti, faceva loro effettuare la prenotazione al CUP solo a posteriori così l’ospedale emetteva una ricevuta con data successiva alla visita effettuata. Proprio in ordine a tali circostanze è stata focalizzata l’attenzione sulle fasi gestionali delle prenotazioni delle visite, riconciliandole con la riscossione dei ticket, intervistando anche i pazienti emersi dalle indagini che confermavano di aver effettivamente versato in contanti, nelle mani dei professionisti o loro delegati, importi dagli 80 ai 150 euro, senza aver effettuato alcuna prenotazione al CUP e senza ricevere, all’atto del pagamento, alcuna ricevuta delle somme pagate, quindi direttamente intascate dal medico.

I numerosi elementi di prova raccolti nell’ambito di due paralleli procedimenti penali erano stati sottoposti al vaglio dei giudici competenti al tribunale di Messina che ritenevano i medesimi convergenti in termini di gravi indizi di colpevolezza, salvo diverse valutazioni giudiziarie nei successivi livelli e fermo restando il generale principio di non colpevolezza sino a sentenza passata in giudicato, disponendo così l’odierna misura cautelare reale del sequestro preventivo del profitto dell’ipotesi di reato di peculato e truffa aggravata per una somma complessiva di oltre 65.000 euro.

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