Le faggete dei Nebrodi godono di buona salute. Lo ha dimostrato uno studio recente condotto da Andrea Caggegi, neolaureato in scienze forestali all’università della Tuscia di Viterbo con la tesi “Analisi dendroecologica del faggio in Sicilia: risposte di crescita legnosa al clima, lungo un gradiente termico, nel parco regionale dell’Etna e nel parco regionale dei Nebrodi”
La ricerca ci dice come le faggete dei Nebrodi godano di ottima salute rispetto a quelle dell’Etna, con le quali sono state messe a confronto; sono più produttive e reagiscono bene alla diminuzione delle precipitazioni verificatesi negli ultimi anni. Infatti, nonostante diverse faggete siciliane da circa 60 anni mostrano un declino dello sviluppo sincronizzato alle crescenti condizioni di stress idrico (il riferimento è soprattutto alle faggete etnee di bassa quota), tutte le faggete nebroidee sinora analizzate non destano particolare preoccupazione, il declino della produttività, infatti, non è così rilevante.
Rispetto a quanto affermato da precedenti studi, la ricerca in oggetto ha fatto emergere inoltre come le faggete poste al limite dell’areale di diffusione della specie possono racchiudere alberi di spiccata longevità: la pianta più longeva trovata in questa campagna di rilievi vegeta, appunto, sui monti Nebrodi. L’esemplare di faggio scientificamente datato più vecchio della Sicilia è quello rinvenuto nel bosco di “Foresta Vecchia” (Randazzo), con un’età determinata di 329 anni, stimata a 400 anni visto che il tipo di strumento di misurazione adoperato non ha permesso di raggiungere la zona del midollo del tronco della pianta.
“Che il Parco dei Nebrodi rappresentasse l’area prediletta del Faggio (Fagus sylvatica) in Sicilia è ormai risaputo negli ambienti scientifici e forestali, visto che quasi il 90% delle faggete siciliane vegetano nella nostra Area protetta – dichiara il presidente del Parco dei Nebrodi, Domenico Barbuzza – Il suo manto attualmente copre circa 12.000 ettari degli 86.000 di tutta l’area del Parco: se pensiamo che a fine anni ’50 erano 10.000 ettari, ci rendiamo conto dell’incremento.
Ma ci domandiamo qual è lo stato di salute del nostro faggio, come sta reagendo ai mutamenti del clima, anzi che genere di informazioni può fornirci circa questo cambiamento nel nostro territorio. Ebbene le informazioni che ci vengono fornite da questo studio condotto dall’Università della Tuscia di Viterbo sembrano essere confortanti, che questo non significa che allenteremo l’attenzione su questo delicato “ecosistema faggio””.