La querelle sulla “carta di Catania” è approdata in commissione cultura all’Ars ieri, martedì 19 gennaio. La carta è stata recepita dall’assessorato ai beni culturali e IS con due decreti assessoriali: il n.74 del 30 novembre e il n.78 del 10 dicembre.
Anche SiciliAntica, su richiesta del suo legale rappresentante, Simona Modeo, è stata audita in V commissione, dove è stata rappresentata da un membro autorevole della presidenza regionale dell’associazione, Nunzio Condorelli Caff, che nel suo intervento ha messo subito in evidenza come “il documento sia stato oggetto di una vera e propria demonizzazione, strumentalizzata politicamente e in cui ha dominato soprattutto la pars destruens, che spesso e volentieri però non ha tenuto conto della peculiare e tormentata gestione dei beni culturali della nostra regione.
In particolare, quando si parla dell’immenso patrimonio di reperti archeologici e di opere d’arte conservati all’interno dei depositi degli istituti periferici dell’assessorato ai beni culturali e dell’identità siciliana, si affronta una questione assai spinosa e di difficile risoluzione.
Nella communis opinio, e non solo, questi depositi vengono percepiti come dei “sancta sanctorum” chiusi e inaccessibili a tutti se non a pochi “addetti ai lavori” che però non sempre sanno cosa effettivamente ci sia al loro interno perché ad oggi non solo non esiste una catalogazione completa e definitiva dei beni in essi conservati ma nemmeno un quadro complessivo di quanti siano i depositi regionali, talvolta di fortuna o temporanei, che li contengono.
Negli “Atti di indirizzo sui criteri tecnico-scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei Musei” (2001) se da un lato si afferma che “l’accesso ai depositi da parte del pubblico e del personale non direttamente addetto deve essere regolamentato e controllato”, dall’altro si evidenzia anche che “la consultazione degli oggetti non esposti va comunque garantita, nel rispetto delle condizioni di sicurezza, secondo criteri definiti e resi pubblici”.
La Carta di Catania, dunque, costituisce un primo importante passo che va in questa direzione aprendo finalmente al pubblico questi “sancta sanctorum” e promuovendo una catalogazione e una rivalutazione inventariale di tutti quei Beni che, dopo la riforma della L.R. n. 80/1977, sono passati dal demanio dello Stato a quello della Regione Siciliana, con il trasferimento di centinaia di migliaia, se non milioni, di oggetti rientranti nelle categorie descritte dal Codice Urbani.
Si tratta di opere d’arte e reperti archeologici in molti casi abbandonati e dimenticati da decenni che adesso, nella logica di una proficua collaborazione tra pubblico e privato, potranno essere valorizzati e restituiti alla pubblica fruizione, sotto la stretta sorveglianza di Soprintendenze e Musei. Con la consapevolezza che i Beni Culturali appartengono alla collettività dello stato di diritto, che comprende non solo coloro che si occupano direttamente di tali Beni per ruolo istituzionale, ma anche le associazioni legalmente riconosciute, o gli enti pubblici che includono tra le loro finalità la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale, materiale e immateriale.
Questo documento, pertanto, va considerato un importante punto di partenza e non di arrivo, un primo perfettibile regolamento dei rapporti di gestione dei Beni in giacenza presso i depositi, stilato nel pieno rispetto dell’art. 9 della nostra Costituzione, del Codice dei Beni Culturali e delle leggi regionali in materia. Un concreto e lodevole esempio di tutela e di valorizzazione dei beni culturali, ideato e creato in Sicilia”.