“La didattica a distanza protratta ad oltranza anche al rientro a settembre costringerebbe gli studenti già provati da questa modifica verificatasi ex abrupto nella loro vita scolastica, ad un perdurante isolamento sociale, foriero di malessere fisico e mentale, laddove questi sintomi non si siano già manifestati.
Essi – si legge in una nota del Sinalp – hanno l’assoluta necessità di relazionarsi con i coetanei e di uscire dal contesto familiare per sviluppare armoniosamente la propria personalità ed un sano profilo psicologico. I bambini e i ragazzi confinati in casa per un così lungo periodo (circa 3 mesi) si sono mostrati insofferenti, agitati o apatici, con problematiche comportamentali di varia natura e sintomi di regressione, come emerso da un recente studio dell’ospedale pediatrico Gaslini di Genova, avendo visto rivoluzionata la scansione temporale delle proprie giornate, costretti a trascorrere moltissimo tempo davanti ad uno schermo, pratica fino ad ora grandemente scoraggiata e osteggiata da qualsiasi pedagogista e psicologo infantile.
Numerosi professionisti, italiani e stranieri, hanno confermato che la situazione venutasi a creare a causa delle decisioni del governo e dei dirigenti scolastici ha determinato, a causa delle misure di isolamento sociale, una pandemia secondaria per bambini e ragazzi con evidenti ricadute fisiche e psicologiche (ansia e disturbi depressivi derivanti dalla mancanza di contatti e dalla paura del contagio, disagi emozionali, irritabilità, carenza di concentrazione, comportamenti regressivi, disturbi del sonno e dell’alimentazione, sedentarietà e conseguente aumento di peso, disturbi alla vista, emicranie, ecc).
La scuola – prosegue il comunicato – rappresenta l’occasione irrinunciabile di relazione nella formulazione della personalità dell’individuo: è il luogo in cui questo sperimenta il fecondo rapporto di apprendimento e di scambio reciproco in uno spazio dedicato e altro rispetto all’ambiente domestico.
Con la didattica a distanza la scuola si è trasformata in una realtà bidimensionale avulsa dalle esperienze sensoriali diverse da quella visiva. Le domandiamo come può un insegnante, attraverso un monitor, instaurare con il bambino una relazione empatica, capire i suoi errori ed interagire per poterli correggere, accendere nei propri scolari il desiderio di imparare, la voglia di conoscere e di ricercare, indispensabile soprattutto nei primi ani di scuola per poter svolgere poi un percorso di studio costruttivo ed equilibrato?
Anche qualora si optasse per la Dad in forma mista, dividendo le classi in due gruppi, uno in aula e uno a distanza, non si considera la frustrazione dei bambini che da casa vedono i compagni in classe e con i quali non possono interagire.
Pensiamo alle persone con disabilità, come gli autistici, che a causa dell’estrema fatica a socializzare e comunicare, interagiscono con le persone per mezzo di attività e approcci manuali, sensoriali e comunicazione aumentativa. La dad è una metodologia del tutto inapplicabile a questi soggetti, per i quali è altamente sconsigliato l’utilizzo di ausili tecnologici a causa di problematiche gravi inerenti il comportamento, l’interazione, la dipendenza.
In questi mesi essi sono stati privati di ogni sostegno educativo e terapeutico, subendo nella maggior parte dei casi una grave regressione cognitiva comportamentale, difficilmente recuperabile. Per loro la ripresa scolastica in presenza, in aula, è indispensabile.
Il comitato tecnico scientifico, pur esordendo con considerazioni analoghe a quelle sopra esposte, contraddittoriamente le smentisce e le trascura nella parte successiva della propria relazione, laddove si dichiara che alla riapertura delle attività didattiche in presenza la modalità a distanza potrà rappresentare un momento integrativo e diversamente applicato e commisurato alle fasce di età degli studenti, lasciando piena discrezionalità alle singole istituzioni scolastiche di definire in virtù dell’autonomia didattica, modalità di alternanza/turnazione/didattica a distanza proporzionate all’età degli alunni e al contesto educativo complessivo.
In particolare, per gli ordini di scuola secondaria di I e II grado, al fine di ridurre la concentrazione di alunni negli ambienti scolastici, potranno essere in parte riproposte anche forme di didattica a distanza.
Alcune problematiche connesse alla DaD non sono state assolutamente prese in considerazione. Ci riferiamo alle conseguenze fisiche derivanti dall’uso prolungato o meno dei videoterminali necessari per seguire le video lezioni.
L’uso di attrezzature munite di videoterminali è disciplinato in Italia dal testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro, al titolo VII e all’allegato XXXIV. La normativa in questione stabilisce e prescrive in favore di lavoratori adulti: le caratteristiche che devono avere le apparecchiature in uso (schermo, tastiera, dispositivo di puntamento), la postazione (sedile, piano di lavoro) e l’ambiente nel suo complesso (Illuminazione, rumori, radiazioni, microclima, areazione, pulizia); specifici obblighi in capo al datore di lavoro, tenuto ad effettuare una valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute de lavoratore, analizzando i posti di lavoro con particolare riguardo ai rischi per la vista, problemi legati alla postura e all’affaticamento fisico e mentale, condizioni ergonomiche e di igiene ambientale e predisporre le dovute misure di prevenzione dei rischi, introdurre la sorveglianza sanitaria; organizzare le mansioni e i compiti lavorativi comportanti l’uso di videoterminali per evitare il ripetersi e la monotonia delle operazioni; programmare le interruzioni dell’attività lavorativa al video terminale, almeno 15 minuti ogni 120; elaborare ed attuare un piano specifico di formazione ed informazione per i lavoratori addetti ai videoterminali; sorveglianza sanitaria realizzata, dove necessario, attraverso visite mediche preventive, esami specialistici e/o controllo oftalmologico dei lavoratori; visite periodiche di controllo.
Dalla mancata osservanza di queste disposizioni possono derivare, oltre ad una responsabilità per il datore di lavoro, effetti dannosi, anche irreparabili, per il lavoratori quali insorgenza di disturbi muscolo scheletrici legati alla scorretta postura, disturbi oculo-visivi, fatica mentale o stress.
Nessuna istituzione, invece, si è preoccupata di verificare se fosse opportuno considerare questi aspetti nella didattica a distanza a tutela degli scolari, soggetti sicuramente più deboli e con un fisico in fase di crescita.
In merito alle video lezioni, i genitori hanno autorizzato, in emergenza, il trattamento dei dati personali e dei loro figli per accedere ed usufruire della piattaforma digitale da Voi scelta per svolgere la DaD e il garante della privacy ha dichiarato, in maniera eccessivamente semplicistica, che le scuole e le università non dovessero richiedere il consenso al trattamento, in quanto riconducibile alle funzioni istituzionalmente assegnate ad esse. Noi riteniamo, invece, che la questione privacy non sia stata adeguatamente analizzata ed è stato leso questo fondamentale diritto, immolandolo ad una non specificata esigenza superiore.
Infine, fino ad oggi le istituzioni e pure il CTS non hanno considerato le difficoltà per le famiglie di conciliare una didattica sì strutturata con la ripresa del lavoro da parte dei genitori. Sicuramente non si può risolvere la questione con l’affiancamento di babysitter o ancora meno dei nonni, visto che quest’ultima è ritenuta la categoria più a rischio e di sicuro meno al passo con la tecnologia.
L’unica soluzione – prosegue la nota – sarebbe che uno dei due genitori rinunciasse alla propria attività lavorativa, con conseguente evidente perdita economica per l’intera famiglia, tralasciando ogni altro aspetto emotivo-relazionale. Soluzione palesemente ingiusta e impraticabile.
Concludendo, i ragazzi sono coloro che hanno pagato in misura maggiore le conseguenze restrittive di questa emergenza sanitaria e i genitori per primi hanno notato la loro repulsione verso questo metodo e sono fortemente provati dall’obbligo di dover effettuare le video lezioni.
Anche alla luce di tutto quanto su esposto, al fine di tutelare la salute psicofisica dei ragazzi, Sinalp, l’associazione rete sociale attiva e la federazione rinascimento Italia esprimono il netto rifiuto a tale modalità di insegnamento e sin d’ora affermano che i lavoratori interessati e le famiglie iscritte non accetteranno di continuare a svolgere nel nuovo anno scolastico l’attività didattica a distanza e ritenendovi personalmente responsabile di tutti i danni (salute, danni economici e di ogni altra natura) che una vostra eventuale decisione di adozione della DaD causerà ai ragazzi coinvolti”.
“Gli alunni – prosegue il Sinalp – hanno la stringente necessità di tornare in classe senza essere costretti a mantenere distanziamenti fisici che potrebbero diventare un giorno distanziamenti affettivi e sociali dai propri coetanei e senza essere costretti a portare mascherine per tutto l’arco della giornata, considerato che numerose e autorevoli voci in campo medico sostengono l’inutilità quando non la dannosità di tale presidio il quale può persino diventare a sua volta veicolo di virus e batteri.
L’emergenza sanitaria è ormai in manifesta regressione e per legittime esigenze di sopravvivenza economica e sociale sono ammessi gli assembramenti negli aerei, negli autobus, sono tollerati nelle spiagge, nel comparto della ristorazione e in tante altre realtà sociali. Questo certifica che gli studenti possano tornare regolarmente in classe a settembre, rispettando semplicemente alcune basilari regole di igiene, che dovrebbero già essere note e normalmente applicate in ambienti condivisi come le scuole.
Non contagiosità dei bambini/adolescenti e ripresa dell’attività scolastica in presenza, adeguamento delle infrastrutture scolastiche. Dal grafico sul numero dei decessi per fascia di età contenuto nel report sulle caratteristiche dei pazienti deceduti positivi all’infezione in Italia pubblicato sul sito di epicentro risulta che alla data del 28 maggio 2020 nei bambini e adolescenti fino ai 19 anni la mortalità sia bassissima. (fascia 0-9 quattro pazienti con gravi patologie preesistenti come dichiarato anche nel documento edl CTS e fascia 10-19 zero pazienti).
Riconosce testualmente il CTS a pagina 2 nel comunicato del 28 maggio scorso che l’infezione da Sard Cov-2 in Italia, nell’età evolutiva è stata ad oggi documentata in circa 4.000 casi; il 7% ha richiesto il ricovero ospedaliero (più numerosi nel primo anno di vita e nell’età preadolescenziale) e 4 decessi (tutti in pazienti con gravi patologie preesistenti). Nei bambini e nei ragazzi le forme cliniche sono prevalentemente paucisintomatiche, lievi e/o moderate, eccezionalmente si sono avuti 3 casi gravi che hanno necessitato di cure intensive.
Già questi dati paiono assai espliciti ed oggettivi nel quantificare il rischio pressoché nullo di diffusione del contagio tra bambini in età scolare.
Invero, contrariamente a quanto sostenuto dal CTS senza alcun richiamo scientifico specifico, grazie all’enorme quantità di dati raccolti ed analizzati dall’inizio della pandemia ad oggi in tutto il mondo è risultato che non si è ancora a conoscenza di alcun bambino che abbia trasmesso il virus ad un adulto e l’evidenza suggerisce che i giovani non svolgano un ruolo significativo nel contagio.
Una revisione sui casi pediatrici di coronavirus ha rivelato che la commissione congiunta Cina/OMS non è stata in grado di richiamare episodi nella ricerca di contatti in cui la trasmissione sia avvenuta da un bambino ad un adulto. La revisione della letteratura pediatrica pertinente sul coronavirus, condotta dal dottor Alasdair Munro e pubblicata in collaborazione con il RCPCH ha appurato dai casi oggetto di studio che i bambini hanno meno probabilità di contrarre l’infezione rispetto agli adulti e anche in caso di contagio, la malattia viene superata in modo tranquillo o, addirittura, senza sintomi.
Inoltre, anche se infetti, essi non sono in grado di diffondere il virus. La invitiamo a leggere il post del dottor Guido Silvestri, virologo, docente alla Emory università di Atlanta che il 29 maggio si è espresso proprio in tal senso. Ancora più esplicito il professore Giulio Tarro, prestigioso scienziato e virologo italiano che, in proposito, in un’intervista rilasciata in data 11 giugno 2020 a Pierluigi Pietricola, allineandosi con le dichiarazioni della funzionaria del gruppo tecnico dlel’OMS, Maria Von Kerkhova, ha così concluso: “ da un punto di vista scientifico, ha ragione la rappresentante dell’Oms: un asintomatico infettivo non esiste. Non avendo sintomi, in quanto non ha una grande quantità di virus al suo interno, non può infettare proprio per questa ragione, come dimostrato anche dallo studio recentemente pubblicato su PubMed cui accennavamo le scorse volte.
La Von Kerkhova, tuttavia, ha precisato che sarebbe più corretto parlare di sintomatico lieve, cioè con pochi sintomi. Lei ha tenuto a fare questa distinzione, che io trovo corretta sul piano scientifico. Se ci troviamo in una condizione di massima carica virale da parte del virus, in un certo periodo dell’anno, a determinate temperature, in alcuni luoghi chiusi sovraffollati: in questi casi, allora, le misure di distanziamento sociale e di protezione individuale hanno un senso anche nell’eventualità di incontrare un sintomatico lieve. Ma se la situazione è quella in cui ci troviamo adesso, non hanno proprio ragione di esistere.
I ricercatori hanno aggiunto che gli studi sui gruppi familiari multipli a Guanzhou, in Cina, hanno suggerito che i bambini non sarebbero probabilmente il caso indice.
Del resto, l’andamento del contagio da un punto di vista epidemiologico in Italia nei mesi di maggio e giugno 2020 conforta, numeri alla mano, queste tesi in quanto, pur a fronte della totale riapertura delle attività sociali, il numero dei contagiati è calato in modo costante e progressivo sino a giungere a numeri poco significativi e comunque accettabili in un bilanciamento necessario di valori costituzionali.
Infine, in altri paesi europei le scuole riprenderanno a settembre in condizioni di completa normalità. In diversi Stati europei (Danimarca capofila, seguita da Norvegia, Germania mentre Islanda e Svezia non hanno mai chiuso) le scuole sono state già riaperte prevedendo lo svolgimento della didattica all’aperto anche in considerazione delle condizioni climatiche favorevoli.
Anche uno stato fortemente colpito dall’epidemia come la Spagna, per la ripresa delle lezioni scolastiche a settembre ha già varato un apposito piano che non prevede più alcuna misura di distanziamento sociale tra gli alunni, né alcun obbligo di mascherine per gli studenti in aula. Considerato tutto ciò, è possibile anche in Italia una ripresa dell’attività scolastica n aula sin dall’inizio del prossimo anno scolastico.
In Italia l’emergenza sanitaria in fase di esaurimento può semmai rappresentare finalmente l’occasione per progettare una scuola diversa, con un numero minore di studenti per classe, eliminando le classi pollaio, interventi strutturali con lavori di ristrutturazione e messa a norma degli edifici scolastici (in alcuni casi fatiscenti e pericolosi), l’assunzione di nuovi insegnanti, l’introduzione di una didattica all’aperto e/o in altri luoghi disponibili (culturali, sportivi, ecc), in collaborazione con gli enti locali o soggetti privati proprietari di strutture adeguate (musei, cinema, palestre), anche ampliando e variando la tipologia di attività svolte dagli studenti.
Per fare ciò sarebbe auspicabile far convergere le ingenti somme che il governo ha invece stanziato per altri progetti (sempre riconducibili alla DaD) verso questi obiettivi, oltre che alla creazione di nuovi spazi, ove possibile, all’interno delle scuole e all’approvvigionamento dei materiali per l’igiene personale, la pulizia e la sanificazione degli ambienti e delle attrezzature; il tutto sicuramente più utile oggi per garantire la ripartenza a settembre della didattica in presenza.
Sulle misure organizzative-distanziamento fisico, nel complesso riteniamo corrette le misure organizzative generali previste nel documento, ad eccezione del distanziamento fisico tra alunni e tra alunni e di insegnante in ogni locale scolastico e all’aperto e durante l’attività di educazione fisica e del pasto in lunch box.
Non c’è alcuna evidenza scientifica per cui dobbiamo stare distanti, così dichiara il dottore Alberto Zangrillo, primario di terapia intensiva generale e cardiovascolare del San Raffaele di Milano. La scuola è una comunità di persone, fatta di vicinanza, il mangiare insieme, condividere un compito (o copiarlo), scambiarsi uno sguardo furtivo. La scuola è corpo, quello degli alunni e quello del docente.
Il maestro che guida materialmente la mano del bambino che sta imparando a scrivere, che lo aiuta in una attività laboratoriale. Tutto ciò non si può distanziare. Per la fascia d’età 0-6 anni, poi, è impensabile che i bambini possano mantenere una qualsiasi distanza interpersonale dai propri amichetti o dalle maestre. Il rapporto maestra-bambino si crea soprattutto attraverso piccoli gesti quali un abbraccio, una carezza, il tenersi per mano, e tra i bimbi è inevitabile e necessario per il loro sviluppo psicofisico ed emotivo il contatto fisico.
Insensata nonché contraria alle disposizioni attualmente in vigore è la proposta, non potendosi garantire un distanziamento fisico per questa fascia di età, di far indossare al personale sia la mascherina che ulteriori dispositivi come guanti, dispositivi di protezione degli occhi, viso e mucose. Il CTS ha considerato il trauma psicologico che subiranno certamente questi bambini al momento dell’incontro con la maestra astronauta (le mancherà solo la tuta o le faranno indossare anche quella?) e durante la loro permanenza a scuola?
Per i bambini con disabilità psichica e/o intellettiva, come ad esempio gli autistici, che mostrano una compromissione nelle abilità di comprendere ed interpretare in modo corretto i segnali sociali, il distanziamento è una condizione inaccettabile in quanto gesti ed espressioni che sono parte integrante della comunicazione umana sono invece per loro poco chiari e quindi necessitano di un lavoro di squadra sulla continuità ed inclusione per il raggiungimento degli obiettivi che la scuola si prefigge di portare a termine come previsto dal PEI.
L’autistico è propenso all’isolamento, ha la tendenza ad escludere persone ed oggetti estranei, denota difficoltà di comunicazione, linguaggio ed interazione sociale, che variano da lieve, grave, a molto grave.
L’ambiente domestico e quello scolastico, appositamente studiato, sono utili se non essenziali, al proseguimento degli obiettivi fissati. Può accadere che il soggetto, a causa di cambiamenti delle proprie abitudini, vada in panico, anche manifestando attacchi d’ira o autolesionismo, peggio ancora se evidenziamo le esigenze dei tetraplegici che hanno bisogno anche dell’assistente all’igiene personale anche per poter andare semplicemente in bagno.
Basterebbe semplicemente affidarsi al buonsenso delle persone (personale scolastico, insegnanti, genitori), disponendo frequenti lavaggi delle mani con acqua e sapone, areazione frequente degli ambienti scolastici (5-10 minuti ogni ora), permanenza domiciliare fiduciaria dello studente in caso di comparsa di sintomi ed eventualmente la rilevazione della temperatura corporea all’ingresso.
Una buona campagna di sensibilizzazione potrebbe indirizzare i genitori ad un comportamento responsabile.
In merito alla sanificazione, sarebbe opportuno che essa venga svolta solo a fine giornata scolastica, quando gli studenti hanno già lasciato la struttura e, con successiva areazione dei locali sanificati; limitare allo stretto necessario l’utilizzo di soluzioni igienizzanti per le mani.
Sul mantenimento ininterrotto dell’apertura delle finestre nei servizi igienici, sarebbe opportuno evitare ciò nel periodo invernale, potendo effettuare come negli altri locali dell’istituto un ricambio d’area costante da parte dei collaboratori scolastici o installando dispositivi idonei.
Il CTS prescrive l’uso delle mascherine chirurgiche a tutto il personale scolastico docente e non (rifornito dalla scuola) e a tutti gli studenti di età superiore ai sei anni, per l’intera permanenza nei locali scolastici. Per la maggioranza degli alunni ciò si traduce in un obbligo di utilizzo per otto ore giornaliere quasi consecutive. Rifiutiamo categoricamente tale misura.
La stessa Organizzazione Mondiale della Sanità, in un documento ufficiale pubblicato il 6 aprile 2020, dichiara che al momento non ci sono prove che indossare una maschera (sia medica o altri tipi) da parte di persone sane in un contesto di comunità più ampio, compreso l’utilizzo diffuso nella comunità, possa impedire loro di contrarre virus respiratori. Le mascherine chirurgiche devono essere riservate agli operatori sanitari. L’uso di mascherine chirurgiche nella comunità può creare un falso senso di sicurezza, con l’abbandono di altre misure essenziali, come le pratiche di igiene delle mani e il distanziamento sociale.
Dal punto di vista scientifico, un recente esame della letteratura, in cui sono stati analizzati 17 dei migliori studi sul tema ha concluso che “nessuno degli studi ha stabilito una relazione conclusiva tra l’uso di mascherina/respiratore e protezione contro l’infezione da influenza.
È interessante notare come non sia stato condotto un solo studio per dimostrare che una mascherina di stoffa o N95 abbia una qualche effetto sulla trasmissione del virus. Le raccomandazioni devono pertanto basarsi su studi sulla trasmissione del virus influenzale. E, come ampiamente dimostrato dalla letteratura medica, non ci sono prove conclusive della loro efficacia nel controllo della trasmissione virale.
È più che lecito chiedersi se ci siano invece dei pericoli nell’indossare una mascherina, soprattutto per lunghi periodi. Diversi studi hanno effettivamente dimostrato come sussistano rischi anche gravi per la salute. Oggi sono numerosi i medici, tra cui il dottor Antonio della University College London, illustre epidemiologo e consulente del governo inglese con un articolo sul British medical jourmal; il dottor Alberto Donzelli, specialista in igiene e medicina preventiva in uno studio pubblicato su Repository di epidemiologia e prevenzione, che confermano come l’obbligo imposto da alcune istituzioni (in particolare in Italia) sull’uso delle mascherina trascurerebbe alcuni effetti collaterali molto dannosi, fino a complicazioni anche letali e specificamente:
- Possono dare un falso senso di sicurezza e indurre le persone a ridurre il distanziamento sociale e il lavaggio delle mani;
- Compromettono considerevolmente la qualità e il volume della conversazione tra le persone che ,inconsciamente, tenderanno ad avvicinarsi;
- Facendo entrare negli occhi l’aria calda e umida che si espira, possono dare fastidio agli occhi spingendo le persone a toccarseli col rischio di infettarsi;
- Causano mal di testa, accumulo di anidride carbonica nel sangue e riduzione dell’ossigenazione del sangue (ipossia) con conseguenti difficoltà respiratorie e aumento della diffusione del virus.
Per quanto riguarda la causa del mal di testa, sebbene la pressione stessa della mascherina possa avere un ruolo importante, l’ipossia e/o ipercapnia rappresentano la causa principale. Infatti una frazione di anidride carbonica espirata in precedenza è inalata ad ogni ciclo respiratorio facendone aumentare in modo eccessivo la quantità nel sangue e riducendone contemporaneamente l’ossigenazione.
È noto che la mascherina N95, se indossata per ore, può ridurre l’ossigenazione del sangue fino al 20% il che può portare ad una perdita di coscienza e causare un grave peggioramento della funzione polmonare nelle persone affette da malattie polmonari, come la BPCO, bronco pneumopatia cronica ostruttiva , l’enfisema o la fibrosi polmonare o in pazienti con cancro ai polmoni o che hanno avuto un intervento chirurgico ai polmoni.
La maggior parte degli studi concordano sul fatto che la mascherina N95 possa provocare ipossia e ipercapnia significative, ma anche un altro studio condotto sulle mascherine chirurgiche ha rilevato riduzioni significative di ossigeno nel sangue. Inoltre, l’uso di questo dispositivo, aumentando la frequenza e la profondità della respirazione, spingono il virus più in profondità nei polmoni e peggiorano anche le condizioni cliniche delle persone già infette.
L’importanza dei risultati degli studi considerati è che un calo dei livelli di ossigeno è associato, nel caso delle malattie infettive respiratorie, proprio un deterioramento dell’immunità. Gli studi hanno dimostrato che l’ipossia può inibire il tipo di cellule immunitarie principali utilizzate per combattere le infezioni virali chiamate CD4+ (una sottopopolazione linfocitaria). Questo non solo riduce le difese immunitarie verso qualunque infezione, ma rende le conseguenze di una qualunque infezione molto più gravi. Basso contenuto di ossigeno promuove anche la flogosi sistemica e locale e la conseguente crescita e diffusione dei tumori. Episodi ripetuti di ipossia sono inoltre ritenuti fattori di rischio significativo per aterosclerosi, infarti cardiaci e ictus;
5) sebbene impedire la trasmissione da persona a persona sia la chiave per limitare l’epidemia, finora è stata data poca importanza agli eventi che si verificano dopo che una trasmissione si è verificata quando l’immunità innata svolge un ruolo cruciale. Lo scopo principale della risposta immunitaria innata è prevenire immediatamente la diffusione e il movimento di agenti patogeni estranei in tutto il corpo.
L’efficacia dell’immunità innata è fortemente dipendente dalla carica virale. Se le maschere facciali determinano un ambiente umido in cui il Sars Cov-2 può rimanere attivo a causa del vapore acqueo continuamente fornito dalla respirazione e catturato dal tessuto della maschera, determinano un aumento della carica virale e quindi possono causare una sconfitta dell’immunità innata e un aumento di infezioni. Questo fenomeno può anche interagire con i punti precedenti e potenziarli.
Nuove prove suggeriscono infine che in alcuni casi il virus può penetrare anche nel cervello attraverso i nervi olfattivi. Indossando una mascherina, i virus espirati non saranno espulsi, ma si concentreranno nei passaggi nasali, entreranno nei nervi olfattivi e viaggeranno fino al cervello. Vi sono poi altri studi che vorremmo sottoporre alla sua attenzione: il dottore Alberto Donzelli, specialista in igiene e medicina preventiva, in uno studio pubblicato su Repository di epidemiologia e prevenzione, evidenzia che in soggetti infetti inconsapevoli, in cui l’emissione di virus è massima nei due giorni precedenti i sintomi, la mascherina obbliga ad un continuo ricircolo respiratorio dei propri virus, aggiungendo la resistenza all’esalazione, con concreto rischio di spingere in profondità negli alveoli una carica virale elevata, che poteva essere sconfitta dalle difese innate se avesse impattato solo con le vie respiratorie superiori.
Se uniamo la quasi certa errata gestione della mascherina da parte della popolazione pediatrica con questi rischi, appare evidente che il bilanciamento rischio-beneficio penda decisamente verso il rischio, piuttosto che verso il beneficio.
Ancora, il ministero della salute, direzione generale della prevenzione sanitaria ufficio 5, prevenzione delle malattie trasmissibili e profilassi internazionale, ha chiarito che i dati attualmente disponibili non supportano la trasmissione per via aerea, fatta eccezione per i possibili rischi attraverso procedure che generano aerosol se eseguite in un ambiente inadeguato e/o in caso di utilizzo di dispositivi di protezione individuali inadeguati.
L’European centre for Disease prevention and control, in un recente documento (http://www.ecdc.europa.eu/sites/default/files/documents/COVID-19-use-face-masks-community.pdf http://www.ecdc.europa.eu/sites/default/files/documents/COVID-19-use-face-masks-community.pdf )ha precisato che esiste il rischio che la rimozione impropria della maschera, la manipolazione di una maschera contaminata o una maggiore tendenza a toccare il viso mentre si indossa una maschera da parte di persone sane, possano effettivamente aumentare il rischio di trasmissione.
Sul punto si è espresso anche il dottore Antonio Lazzarino, epidemiologo presso l’University College London, con un articolo sul British medical journal: (https://www.bmj.com/content/bmj/369/bmj.m2003.full.pdf\n blank; https://www.bmj.com/content/bmj/369/bmj.m2003.full.pdf).
In conclusione, a differenza di Greenhalgh, crediamo che il contesto dell’attuale pandemia sia molto diverso da quello dei paracadute per saltare fuori dagli aeroplani, in cui la dinamica del danno e della prevenzione sono facili da definire e persino da quantificare senza la necessità di studi di ricerca. È necessario quantificare le complesse interazioni che potrebbero benissimo operare tra effetti positivi e negativi dell’uso di maschere chirurgiche a livello di popolazione. Non è tempo di agire senza prove.
Segnaliamo, infine, il rapporto pubblicato ISS Covid 19 nr 25/2020 contenente le raccomandazioni ad interim sulla sanificazione di strutture non sanitarie, il quale, nella tabella a pagina 4, riporta la persistenza di particelle infettanti sulle superfici, che sullo strato esterno delle mascherine presenta il dato temporale in assoluto più alto ovvero di ben 7 giorni, confermando che la mascherina, lungi dall’essere un’efficace protezione, costituisce un pericoloso veicolo di contagio.
Alla luce di quanto sopra appare quanto meno imprudente e non supportata scientificamente l’imposizione di mascherina alla popolazione pediatrica, che dovrebbe indossarla per molte ore al giorno, nella quasi certezza di una non corretta gestione della stessa e in presenza di non trascurabili rischi per la salute.
In base al principio di precauzione, la dotazione in uso della stessa mascherina alla collettività scolastica indistintamente, e persino all’aperto, non può essere consigliato né tantomeno reso obbligatorio.
Dal punto di vista legale, vietare l’accesso a scuola ai bambini senza mascherina costituisce un abuso al diritto costituzionale all’istruzione che non può essere compresso per DPCM e nemmeno per decreto legge. Esiste già un precedente: il decreto Lorenzin del 2017 che inizialmente prevedeva l’esclusione da scuola anche dei bambini oltre i 6 anni privi di vaccinazione, è stato modificato in quanto lesivo del diritto costituzionale all’istruzione. ne consegue che non si può imporre la mascherina a scuola, se non in palese violazione di diritti costituzionali inderogabili.
Su tali premesse, aggiungiamo infine alcuni nostri personali riflessioni/quesiti, sui quali attendiamo precise delucidazioni operative: come faranno i bambini a distinguere la propria mascherina da quella dei compagni? Ci verrà richiesto di metterci d’accordo con gli altri genitori sul colore o la fantasia per evitare doppioni? Dovremo dotare nostro/a figlio/a di un porta mascherina ove riporla in sicurezza (sia per l’igiene che per evitare scambi)? Ogni quanto tempo dovranno essere sostituite? Quale procedura bisogna seguire per il cambio? Come credono i membri del CTS e il ministero che un bimbo dell’età di 6 anni possa evitare il continuo contatto della mascherina con le mani o eseguire la sua sostituzione secondo la corretta procedura? Le mascherine sostituite, se lavabili, verranno rese? Dove verranno allocate dopo l’uso? Se smaltite a scuola, è necessaria una raccolta differenziata specifica? Chi sopporterà i costi di tale dispositivo per almeno 200 giorni l’anno di attività, o ancora più qualora la mascherina dovesse essere sostituita più volte al giorno? Verrà fissato un prezzo calmierato dallo Stato? Verranno introdotte agevolazioni o addirittura lo Stato si farà carico della fornitura gratuita a tutte le famiglie italiane, quantomeno per gli studenti per cui vige l’obbligo di istruzione?
Ove ne venisse confermato l’uso obbligatorio, quale soggetto, fisico o giuridico, ne garantirà la sicurezza per la salute dei nostri figli (il DS , gli insegnanti, il ministero, il pediatra)? In caso di conseguenze (fisiche o psichiche) riconducibili all’uso della mascherina, chi se ne assume la responsabilità? Sarà previsto un controllo preventivo (visita medica) e se sì da parte di quale professionista, per valutare lo stato di salute di ciascun alunno e l’idoneità all’uso e, successivamente, regolari controlli periodici per verificare l’esistenza di variazioni, fisiche o psicologiche, nello studente dovute all’uso di tale dispositivo?
Saranno ammessi esoneri in caso di non idoneità all’uso attestata da certificato medico?
Il DPCM ha disposto all’articolo 3 co. 2 che non sono soggetti all’obbligo (delle mascherine) e i soggetti con forme di disabilità ovvero i soggetti che interagiscono con i predetti. Invece, il CTS prescrive al personale docente, ritenendo non sempre possibile garantire il distanziamento fisico da questi studenti, di indossare la mascherina ed utilizzare ulteriori dispositivi (es. guanti in nitrile e dispositivi di protezione degli occhi, viso e mucose).
Ciò è inaccettabile oltre che illegittimo, in quanto contrario alle disposizioni di cui sopra. I bambini/ragazzi con disabilità, in particolare gli autistici, affetti da disabilità psichica o intellettiva (ovvero di un disturbo con esordio nel periodo dello sviluppo che comprende deficit del funzionamento sia intellettivo che adattivo negli ambiti concettuali, sociali e pratici), avranno notevoli difficoltà a potersi reinserire in un contesto scolastico se in esso saranno presenti barriere di distanziamento personale e persone che indossano dispositivi di protezione. Per loro, infatti, è oggettivamente difficile, se non impossibile, indossare le mascherine e per tale motivo i vari decreti li hanno esonerati, unitamente alle persone che interagiscono con essi, in quanto la vista di soggetti col viso coperto ed indisposte all’avvicinamento potrebbe generare loro uno shock che determinerebbe probabilmente la perdita dei risultati conseguiti in mesi e mesi di terapie, con danni permanenti.
Un’ultima precisazione nel caso Lei pensasse – prosegue il lungo documento – pensasse anche all’uso obbligatorio dei guanti. Anch’essi risultano più pericolosi che utili come confermato, da ultimo, anche dall’OMS. Per poter avere una qualche utilità nella riduzione della diffusione del Covid19, infatti, essi dovrebbero essere indossati esclusivamente dal personale sanitario che entra in contatto con i pazienti affetti dal virus. Un uso invece generalizzato, da parte della collettività intera, può rivelarsi controproducente, in quanto un soggetto che tocca superfici infette con i guanti può diffondere il virus su altre superfici. In merito si è espressa anche l’Ausl di Piacenza. Inoltre, l’uso prolungato degli stessi (così come lavaggi ripetuti con detergenti) rischia di togliere alla mano la sua barriera naturale chiamata mantello idrolipidico che serve per proteggere le mani dall’aggressione di virus e batteri e che, se distrutto, necessita di qualche ora per riformarsi – conclude il documento firmato da Sinalp rete sociale attiva e federazione Rinascimento Italia, in nome e per conto delle famiglie e dei loro figli e dei lavoratori del comparto che “non intendono accettare alcuna misura di distanziamento sociale, né obbligo di mascherina e La invitano a non emanare alcuna delibera che impedisca un pieno ritorno alla normalità della didattica e delle condizioni di frequentazione della scuola.
Gli stessi Le comunicano sin d’ora che La riterranno personalmente responsabile di tutti i danni (alla salute psicofisica, danni economici e di ogni altra natura) che Sue eventuali decisioni di adozione di suddette misure causeranno al loro figlio/a, anche ai sensi dell’articolo 5 delle Convenzione di Oviedo del 4 aprile 1997, resa esecutiva con legge 145/2001.
Gestione di un alunno con sintomi da Covid19
Nelle linee guida del CTS non è stata ben delineata la procedura da attuare in caso un allievo o un adulto manifestasse sintomi da Covid 19 durante l’orario scolastico. Abbiamo già letto di aberranti soluzioni da parte di alcuni istituti scolastici. Per questa malaugurata evenienza Federazione Rinascimento Italia, Sinalp e Rete Sociale Attiva chiedono che, all’interno di un eventuale protocollo dell’istituto la scuola si impegni a informare in primis i genitori dell’alunno interessato (minore o maggiorenne che sia), ai quali verrà affidato per il rientro a casa, come anche già previsto, tra l’altro, dalle linee guida predisposte da alcune regioni e in primis dalla regione Lombardia sui servizi per l’infanzia e l’adolescenze.
Le comunichiamo sin d’ora che non autorizziamo alcuno spostamento dei ragazzi fuori dalla sede scolastica da parte di qualsivoglia autorità pubblica e/o da personale ospedaliero o scolastico, in assenza di almeno uno dei genitori e senza il loro relativo consenso scritto.
Non intendiamo accettare alcuna misura di gestione dei ragazzi con eventuali sintomi da Covid19 o di qualsiasi altra natura senza esplicita autorizzazione della famiglia di appartenenza.
Quindi La riteniamo sin d’ora personalmente responsabile di tutti i danni (salute psicofisica, danni economici e di ogni altra natura) che sue eventuali decisioni di adozione di tali misure causeranno al ragazzo. Il prelievo non autorizzato dei figli configura anche illecito penale, che i familiari si riservano di segnalare nelle competenti sedi.
L’articolo 34 della nostra Costituzione prevede che la scuola sia aperta a tutti. gli articoli 33 e34 della Costituzione italiana sanciscono il fondamentale diritto all0istruzione. Le istituzioni hanno il dovere di garantire questo diritto e, nel pieno rispetto dell’articolo 3 della Costituzione, di renderlo fruibile da tutti gli studenti, offrendo loro le stesse opportunità e i medesimi strumenti di crescita.
Come dichiarato dal presidente della corte costituzionale, Marta Cartabia, i princìpi ed i diritti fondamentali sanciti e fissati nella nostra Carta Costituzionale non possono essere sospesi nemmeno in fase emergenziale, ma al più modulati in base alle specificità della contingenza, mediante il ricorso a criteri tra cui la proporzionalità e la temporaneità. Nella fase attuale e futura, ogni limitazione a detti principi non trova più giustificazione alcuna.
Attraverso la didattica a distanza e ogni altra imposizione che si intende introdurre per la ripresa delle attività scolastiche (utilizzo di DPI obbligatori, distanziamento interpersonale), lo Stato e i soggetti ad esso subordinati (tra cui i dirigenti scolastici), certo non assolvono a questo dovere nei confronti di alcun soggetto, dai bimbi più piccoli (frequentanti i servizi per l’infanzia e la scuola primaria) ai ragazzi in età adolescenziale ed universitari; dalle persone diversamente abili con difficoltà dell’apprendimento e seri limiti e difficoltà nella socializzazione, agli studenti socialmente ed economicamente svantaggiati e disagiati che si rischia di perdere definitivamente.
Si deve anche considerare che l’istituto scolastico (o, per esso, l’ente statale o comunale competente) ha stipulato con i genitori dei ragazzi, al momento dell’iscrizione, un contratto che non prevede la didattica a distanza o altra forma di limitazione alle modalità di frequentazione e svolgimento delle lezioni. Ne discende che ove tali misure venissero adottate in assenza di una chiara e concreta situazione emergenziale, esse determinerebbero una palese violazione del rapporto contrattuale, con conseguenti responsabilità in capo al dirigente scolastico ed ente pubblico o gestore privato, nonché una violazione dell’obbligo di istruzione riguardante la fascia tra i 6 e i 16 anni che lo Stato deve garantire.
Si consideri altresì che la DaD e il distanziamento interpersonale di un metro sono del tutto incompatibili con specifiche metodologiche di insegnamento (quali il metodo Montessori o Steineriano) diffuse sul territorio italiano che già per tutta la durata del lockdown sono state quasi completamente trascurate, così come per gli alunni con disabilità ai quali, per i motivi già citati, in tali condizioni, verrebbe completamente precluso l’accesso a scuola.
Alla luce di tutto quanto su esposto, considerata la manifesta avversione dei ragazzi, già evidenziata nella presente diffida, alla FaF e la sua necessità di tornare il prima possibile a condurre una vita serena e gioiosa senza limitazioni, nonché la descritta probabile compromissione della salute psico-fisica dello stesso in caso di adozione delle misure di protezione suggerite dal CTS, nel suo esclusivo interesse, Le comunichiamo che le famiglie non daranno il consenso alla partecipazione dei ragazzi alla didattica a distanza a decorrere dal nuovo anno scolastico (2020-2021) e, nel caso in cui il rientro a scuola in presenza sia vincolato a forme di distanziamento sociale e/o all’uso di mascherine e/o altri dpi, La riteniamo sin d’ora personalmente responsabile di tutti i danni (salute psicofisica, danni economici e di ogni altra natura) che Sue eventuali decisioni di adozione di tali misure causeranno ai ragazzi.
Al fine di evitare ciò confidando nella sua comprensione, e consapevoli delle difficoltà attraversate dagli istituti scolastici in questo periodo Le chiediamo di voler dare immediato riscontro a questa nostra lettera e diffida al contempo, attivandosi sin d’ora direttamente e con i competenti organi dello Stato a favore di una ripresa normale dell’attività scolastica a settembre”.