Catania: tratta di esseri umani, arresti della polizia
È stata denominata “terra promessa” l’operazione condotta dagli agenti della polizia di Stato di Catania che hanno portato alla luce una tratta di esseri umani. Le indagini, avviate il 7 aprile del 2017 al porto di Catania, hanno permesso di accertare numerose vicende di tratta ai danni di giovani ragazze nigeriane.
Agenti della polizia di Catania in collaborazione con i colleghi di Messina, Caltanissetta, Verona, Novara e Cuneo, all’alba di oggi hanno arrestato 10 persone. Le manette sono scattate ai polsi di: Osazee Obaswon, 33enne arrestato a Messina; James Arasomwan, 32enne anche lui arrestato a Messina così come Macom Benson, 29 anni; Tessy William, 29enne arrestato a Novara così come Evelyn Oghogho, 26 anni; Faith Ekairia, 39anni, arrestato a Verona; Joy Nosa, 42 anni, arrestato a Verona, così come Nelson Ogbeiwi, 36 anni; Belinda John, 40enne arrestato a Caltanissetta e Rita Aiwuyo, 48 anni, arrestato a Mondovì.
Tutti gli arrestati sono ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione per delinquere finalizzata alla tratta di persone e al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, tratta di persone, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e sfruttamento della prostituzione.
Ai destinatari dell’odierna misura sono state contestate anche le aggravanti della trans nazionalità del reato, di aver agito mediante minaccia attuata attraverso la realizzazione del rito religioso-esoterico del voodoo, approfittando della situazione di vulnerabilità e di necessità delle vittime, spesso minori, tramite inganno costituito nel tacere l’effettiva destinazione al meretricio e nel rappresentare falsamente la possibilità di svolgere un’occupazione lavorativa lecita, ciò per sfruttare la prostituzione ed esponendo le persone offese ad un grave pericolo per la vita e l’integrità fisica, facendo loro attraversare il continente di origine sotto il controllo di criminali, che le sottoponevano a privazioni di ogni genere e a diverse forme di violenza, facendole giungere in Italia via mare a bordo di imbarcazioni occupate da moltissimi migranti, esponendole ad un altissimo rischio di naufragio.
Il provvedimento restrittivo accoglie gli esiti di un’articolata attività investigativa di tipo tecnico avviata dalla mobile di Catania, sezione criminalità straniera e prostituzione con il coordinamento della Dda etnea, a seguito delle dichiarazioni rese da una giovane donna nigeriana giunta il 7 aprile 2017, insieme ad altri 433 migranti di varie nazionalità, presso il porto di Catania a bordo della motonave Aquarius della Ong “Sos Mediteranée”.
Nel corso della fasi di accoglienza dei migranti, un team di investigatori della sezione criminalità straniera, specializzato nella early identification di presunte vittime di tratta, individuava un soggetto vulnerabile che chiameremo Giuly che, escussa, dichiarava di aver lasciato il suo paese perché convinta da un connazionale di nome Osas, che le aveva proposto di raggiungerlo in Italia, promettendole un lavoro lecito e anticipandole le spese del viaggio.
Dal racconto della giovane sono emersi diversi dettagli sulla fase del reclutamento in Nigeria alla fase del trasferimento in Italia dalla Libia dove veniva imbarcata su un natante di fortuna per poi essere soccorsa insieme agli altri migranti e condotta a Catania.
L’attività tecnica permetteva di identificare il richiamato Osas nell’indagato Osazee Obaswon, dimorante a Messina che, dopo qualche giorno dal collocamento di Giuly in una struttura protetta, si attivava per prelevarla, portandola presso la sua abitazione e avviandola al meretricio.
Le indagini tecniche, corroborate da attività di tipo tradizionale hanno permesso di ricostruire un network criminale transnazionale, con cellule operative in Nigeria, Libia, Italia ed alti paesi europei, specializzato nella lucrosa attività di traffico di persone, permettendo di accertare numerose vicende di tratta (almeno 15) ai danni di altrettanti connazionali.
A capo del sodalizio c’èera Osazee Obaswon, collaborato in madrepatria dai familiari addetti al reclutamento e alla sottoposizione ai riti magici, intratteneva i rapporti con i connection-man stanziati in Libia, incaricati di curare la fase finale e più pericolosa del viaggio ovvero la traversata via mare dalle coste libiche a quelle dell’Italia, ritenuta dalle vittime una vera e propria terra promessa dove avrebbero potuto sottrarsi alla miseria del paese di origine, aiutando anche i familiari qui rimasti.
Una volta giunte in Italia, le vittime venivano sfruttate in modo da ottenere da loro il massimo rendimento e venivano anche smistate in luoghi diversi del territorio italiano in guisa da massimizzare i profitti, affidate alle cure di altri indagati.
In sintesi, l’indagine permetteva di fotografare l’attività di un efficiente sodalizio dedito alla tratta di esseri umani e al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina ed operante su più Stati e distinguendo in base allo Stato dove veniva realizzata la condotta delittuosa era possibile individuare una componente italiana costituita da Osazee Obaswon e risultato essere il capo indiscusso dell’associazione, da Tessy William, detta Silvia, da James Arasomwan. In pratica c’erano una componente nigeriane e una libica, quest’ultima costituita dal connection man cui i sodali erano soliti rivolgersi per il trasferimento via mare verso l’Italia delle vittime.
Grazie agli sforzi congiunti dei sodali nell’arco di quasi 8 mesi venivano registrate le vicende correlate al reclutamento, al trasferimento in Italia, alla gestione su strada di numerosissime vittime di tratta. Alcune delle vittime venivano immesse nel circuito della prostituzione delle strade messinesi, dove l’indagata John Belinda, arrestata per tratta di esseri umani e già condannata per lo stesso reato, risultava gestire alcune postazioni lavorative su strada e alla quale venivano rimessi da alcuni dei sodali i canoni mensili per singola posizione occupata, previa riscossione del relativo importo.
La particolare esperienza maturata dall’associazione investigativa non passava inosservata ad altri soggetti aventi gli stessi interessi affaristico criminali dei sodali. Questi ultimi costituivano punto di riferimento per altri connazionali, anche loro impegnati nel settore della tratta di esseri umani che chiedevano consigli, contatti o supporto logistico e, talvolta, offrivano anche aiuto per la gestione delle vittime, pur continuando a gestirle. In particolare, ci si riferisce agli indagati Faith Ekairia, Joy Nosa, Rita Aiwuyo ed altri quattro non rintracciati sul territorio nazionale.
Il collegamento fra i vari componenti del sodalizio e gli altri connazionali ha permesso di ricostruire ulteriori ipotesi di tratta che si svolgono al di fuori del perimetro associativo.
A Messina erano attivi gli indagati Arasomwan e Benson incaricati, tra l’altro, della riscossione del canone di locazione spettante alla proprietaria dei posti, mentre ulteriori basi operative risultavano dislocate a Novara, dove dimoravano William e Oghogho, a Verona quale luogo di dimora di Ewairia e Nosa e infine a Mondovì, sede della madame Aiwuyo.
La rete di rapporti vantata dai sodali su tutto il territorio nazionale e all’estero permetteva di evidenziare dei trends nella realizzazione del delitto di tratta di esseri umani che sembravano essere in corso di stabilizzazione e, in particolare, venivano rilevate due prassi. La prima riguarda l’esternalizzazione dei sevizi correlati alla gestione delle vittime e la triangolazione dei pagamenti delle somme a scomputo del debito di ingaggio.
Il sodalizio riusciva con frequenza a movimentare ingenti somme di denaro, sebbene talvolta anche per importi minimi, in guisa da trasferire in Nigeria tutto il guadagno derivante dallo sfruttamento delle connazionali e così anche simulando in Italia una situazione di quasi povertà. I flussi di denaro verso la Nigeria avvenivano sempre avvalendosi dei sevizi di intermediari che non utilizzavano sistemi ufficiali o tracciabili.
Il volume di affari generato da detti traffici illeciti veniva gestito grazie al coinvolgimento di altri connazionali che si prestavano per trasferire, attraverso canali non ufficiali, la massima parte del denaro in Nigeria, ovvero per trasferirlo ai connection man libici in pagamento di nuovi viaggi o di nuove vittime.
Dall’analisi dei flussi di denaro movimento con le carte di credito e le poste pay emerse nel corso delle indagini risultavano accertate operazioni nel periodo di intesse per un ammontare complessivo pari a 1 milione 200 mila euro.