Capo d’Orlando (Me): truffe da finti maghi, 7 arresti

estorsioni milionarie

Le accuse vanno da associazione per delinquere, truffa aggravata, violenza privata e tentata estorsione. Di questo dovranno rispondere 7 persone arrestate questa mattina a Capo d’Orando, nel messinese, su disposizione della questura di Patti.

Ad essere raggiunti dall’ordinanza di custodia cautelare in carcere sono stati: Elvira Parisi, Gino Paterniti, Doina Negru Rodica e Lidia Messina mentre agli arresti domiciliari sono andati Teresa Prinzi e Rosario Lombardo Facciale. Un ottavo indagato, attualmente non reperito, è in esecuzione la misura cautelare.

Dopo due anni di indagini basate su intercettazioni telefoniche, assunzioni di numerose testimonianze e perquisizioni, è stato svelato un articolato sodalizio criminale con base operativa a Santo Stefano di Camastra, ma attivo su tutta la provincia al cui vertice c’erano Elvira Parisi e Gino Paterniti.

Questi, spacciandosi per veri e propri “maghi” e cartomanti, dotati di poteri occulti ed esoterici, agganciavano le vittime ignare convincendole dei loro poteri magici. Così facevano sborsare ingenti somme di denaro in cambio delle loro “presunte” prestazioni professionali.

Le indagini avevano avviato a seguito della denuncia presentata da C.M.F che riferiva di aver versato centinaia di migliaia di euro a tali soggetti e all’intero sodalizio.

Il modus operandi era sempre lo stesso. Gli indagati avvicinavano le vittime sfruttando momenti di fragilità e solitudine, carpendone la fiducia dopo lunghe telefonate ad ogni ora del giorno e della notte. Fingevano solidarietà e comprensione, si arrogavano poteri da sensitivi come quello di percepire incombente nella vita degli altri, grazie ai quali paventavano l’esistenza di gravi ed immediati pericoli, forti negatività anche di tipo mortale, gravanti sull’intero nucleo familiare come riti malefici posti in essere da terzi con teli appesi al balcone che potevano essere scongiurati soltanto con il ricorso alla cartomanzia, a riti esoterici, rituali magici e preghiere.

In cambio di tali prestazioni, i truffatori si facevano consegnare cifre esorbitanti in denaro, erogato in contante o con ricariche su carte prepagate.

I rituali magici ed esoterici chiamati “lavori”, “grafiche”, “invocazioni” venivano sempre prospettati alle vittime come molto costosi perché c’era la necessità di materiali speciali e talismani nonché come condizione imprescindibile per la rimozione del malocchio o della fattura.

Non c’è tempo da perdere, perché ogni cosa peggiora”. Sei cattolico? Allora ti voglio dire una cosa, principalmente io sono con Dio, ok? Io faccio solo preghiere carismatiche, così tolgo la negatività, tolgo il male, hai capito? Erano di questo tenore le frasi che i truffatori rivolgevano alle loro vittime per convincerli a sborsare il denaro. I riti a volte servivano per mettere a tacere delle dicerie di paese che minavano la reputazione delle stesse vittime, come ad esempio relazioni extraconiugali e comprendevano anche la consegna di talismani che dovevano essere utilizzati secondo precise indicazioni. A volte i talismani, i riti o le formule dovevano servire a conquistare o riconquistare la donna di cui la vittima si era innamorata o a mantenerne la buona salute.

Gli indagati passavano a vere e proprie intimidazioni nei loro confronti. In particolare, le minacciavano che, se avessero smesso di pagare o avessero denunciato i fatti, avrebbero scagliato al loro indirizzo e a quello delle loro famiglie, ogni sorta di maleficio e negatività o comunque generato nei loro confronti temibili fenomeni paranormali, a volte anche con l’ausilio di operatori dell’occulto ancora più potenti e pericolosi, in particolare un tale “Valentino”.

In alcuni casi gli indagati ricattavano le loro vittime minacciandole di divulgare tutte le informazioni compromettenti di cui erano venuti in possesso, carpite in occasione dello svolgimento delle loro prestazioni professionali. Uno degli indagati, per esempio, ha minacciato la vittima di divulgare il contenuto non meglio precisate “cassette” o anche di riferire agli assistenti sociali e al datore di lavoro della sua “cliente-vittima” le informazioni confidenziali ricevute.

Ma non è finita qui. Per incrementare il senso di smarrimento delle vittime ed eludere le indagini, gli indagati inscenavano l’esistenza di fantomatici soggetti dai poteri ancora più straordinari dei quali simulavano la voce al telefono.

Il sodalizio criminoso aveva una ben precisa ripartizione dei ruoli. Chi rivestiva il ruolo di intermediario e procacciatore delle vittime, chi di vero e proprio “operatore dell’occulto”, mago e chiromante, dotato di poteri straordinari di guarigione, chi di confidente e consigliere, chi di materiale riscossore o di intestatario delle carte Postepay su cui avvenivano le ricariche in denaro e da una solidarietà reciproca, che è parsa nella sua massima dirompenza  nel momento conclusivo dell’indagine, quando sono state eseguite le perquisizioni domiciliari ed è stato sequestrato materiale esoterico ed appunti con informazioni sulle vittime.

A capo del sodalizio, come detto, c’erano Parisi e Paterniti, quest’ultimo detto “il conte”, i perni del sodalizio, fantomatici operatori dell’occulto, in continuo contatto tra loro che si consigliavano sulle migliori strategie da adottare per gestire i clienti che sovente si scambiavano i guadagni ottenuti illecitamente.

Doina Negru Rodica svolgeva, invece, un ruolo di collegamento tra i due indagati principali Elvira Parisi e Gino Paterniti, forniva assistenza nell’attività esoterica, interpretava il ruolo della fantomatica “Alessia” per la circonvenzione delle vittime, metteva a disposizione la propria carta Postepay per riceverne i pagamenti.

Lidia Messina, molto vicina ad Elvira Parisi, le forniva assistenza costante dandole suggerimenti e consigli, individuando, procacciando e gestendo numerose vittime, interpretando, procacciando e gestendo numerose vittime, interpretando in alcuni casi il ruolo della fantomatica “Ester”.

Teresa Prinzi, dal canto suo, detta Titti, nipote di Elvira Parisi, assistenza la zia nella circonvenzione delle ignare vittime.

Rosario Lombardo Facciale, detto Carlo, prima aveva assunto il ruolo di vittima e poi di consociato in quanto divenuto stretto collaboratore di Elvira Parisi ,fornendole consulenza ed assistenza, procacciandole nuovi clienti, interpretando anche il ruolo di intermediario tra la stessa Elvira Parisi ed alcune delle vittime.

Gaetano Capra, detto Tanino, anche lui prima vittima, è poi divenuto il compagno di Elvira Parisi e le ha fornito assistenza nella circonvenzione di altri soggetti, occupandosi di ritirare il denaro contante. Anche lui era intestatario di una delle carte prepagate su cui avvenivano le ricerche.

Le vittime, per procurarsi la liquidità necessaria a soddisfare le incessanti richieste degli indagati, non solo attingevano a tutti i loro risparmi, vendendo gioielli, attrezzature di lavoro e persino immobili di proprietà, ma erano costrette anche a contrarre gravosi debiti con amici e parenti, fino a contrattare debiti a tassi usurai che non riuscivano poi ad onorare.

Per ogni rito/consulenza, i malcapitati versavano una parcella di qualche centinaio di euro fino ad arrivare a corrispondere cifre anche superiori ai 10 mila euro. Nei casi più gravi, due vittime hanno consegnato rispettivamente oltre 1 milione di euro e 70 mila euro.

In alcune conversazioni erano gli stessi indagati a suggerire alle vittime come procurarsi ancora ulteriore denaro, per esempio chiedendo prestiti ai familiari o vendendo gioielli al compro-oro.

All’esito di alcune perquisizioni domiciliari seguite nel 2018, è stato sequestrato non solo materiale esoterico di ogni tipo, ma anche appunti con informazioni sulle vittime e sulle loro abitudini. Subito dopo le perquisizioni, i sodali e i loro accoliti si sono immediatamente adoperati per far sparire altro “materiale”, ancora in loro possesso.

Duplice la potenzialità offensiva del fenomeno criminale. Da un lato lo sfruttamento economico delle vittime e dei loro congiunti ad uno sfruttamento psicologico così che le vittime, anche per la vergogna, si isolavano dalla famiglia e dal contesto sociale di riferimento, diventando sempre più succubi e “dipendenti” dal sodalizio.

In alcune intercettazioni di telefonate è emersa tutta la determinazione usata dagli indagati nell’azione di spoglio dei malcapitati clienti, definiti “porci”, “pazzi”, “morti di fame”, “babbigni”.

La spregiudicatezza dei sodali non si fermava nemmeno di fronte agli accorati appelli delle vittime che supplicavano gli indagati di smetterla con le insistenti richieste di denaro, dichiarando di non avere più soldi, di provare vergogna verso i figli ai quali non potevano più comprare nulla e di essere disposti a compiere gesti estremi. “Io non ce la faccio più perché ho paura che mi succeda qualcosa di brutto e io faccio qualcosa…o ammazzo a lei o ammazzo me” diceva una delle vittime.

Un altro “cliente” del sodalizio criminale, per riconquistare la sua amata aveva consegnato circa 70 mila euro al sodalizio e in una intercettazione, con voce tremante e tono disperato, diceva: “io m’ammazzo. Sta situazione deve finire, è diventato un calvario, non ce la faccio più, sono pazzo pazzo” e, ancora “Io non ho soldi. Mi posso solo sparare, sta camurria deve finire, mi sparo e si leva sta camurria, sono nella merda, le persone mi minacciano, mi prendono la faccia a schiaffi”.

In altri casi, per ammonire le vittime, veniva loro raccontato di come era “finita” con altri clienti che si erano rifiutati di pagare. “Ha telefonato uno che è di Acquedolci e mi ha detto ‘Se lei non mi aiuta signora, io mi ammazzo’. Per gli indagati era del tutto indifferente il destino dei loro clienti, una volta ridotti sul lastrico. Costoro avrebbero potuto tranquillamente suicidarsi, senza che gli arrestati odierni si sentissero minimamente in colpa.

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