A Domenico Di Dio, 61 anni e i suoi due figli Antonio e Giacomo, rispettivamente 33 e 36 anni, coinvolti in una truffa ai danni dell’Agea, sono stati concessi gli arresti domiciliari. Le ipotesi di reato nei loro confronti sono di concorso esterno in associazione mafiosa e presunte truffe all’Unione Europea che avrebbero fruttato oltre 400 mila euro in relazione a terreni nelle province di Enna, Palermo e Messina.
Il Gip di Caltanissetta ha ora concesso i domiciliari ai tre, difesi dall’avvocato Antonio Impellizzeri. Nei confronti dei tre, inoltre, c’è un’ipotesi di falso ideologico in relazione ad un atto stipulato a Mirabella Imbaccari a luglio del 2016 riguardante l’usucapione di un vasto terreno di circa 600 ettari in territorio di Polizzi Generosa nel palermitano. Il padre, in sostanza, con quell’atto, dichiarava di aver usucapito i terreni e di averli donati ai suoi due figli.
L’ordinanza di arresto era stata emessa a maggio del 2019. Poi i due procedimenti si sono separati. La parte relativa al falso ideologico in atto pubblico è stata stralciata e passata per competenza a Caltagirone. Il prossimo 26 maggio i tre, padre e figli, dovranno comparire dinanzi al Gup di Caltanissetta, Valentina Balbo.
A Caltagirone, invece, con l’accusa di falso si procede con giudizio immediato e si è giunti in fase avanzata del dibattimento che il 27 maggio dovrebbe giungere a discussione e sentenza.
La famiglia Di Dio avrebbe messo su un sistema gestito con metodi mafiosi. La famiglia, originaria di Capizzi, si era stanziata da tempo nella provincia di Enna. Secondo gli inquirenti i Di Dio avrebbero avuto numerosi contatti con esponenti di famiglie mafiose tra cui in particolare quella facente capo ai fratelli Virga, inserita nel mandamento di San mauro Castelverde. I tre hanno proprietà tra le province di Enna, Messina e Palermo.
Secondo l’accusa avrebbero agevolato Cosa Nostra determinandone, sempre secondo l’accusa, un significativo incremento del potere di infiltrazione in attività economiche collegate allo sfruttamento di vaste aree agricole collocate nei territori del parco delle Madonie, di Capizzi e della provincia di Enna per ottenere i contributi comunitari. Secondo gli investigatori, parte del denaro sarebbe stato versato ad elementi di spicco di Cosa nostra.