“Tempi moderni” così nel lontano 1936 Charlie Chaplin regalò al mondo uno dei suoi straordinari capolavori.
È passato quasi un secolo d’allora, eppure gli artisti detengono in sé il potere della chiaroveggenza. Ma come può un pensiero cinematografico così lontano, legarsi ad un fenomeno più che mai attuale, ovvero, la “fragiltà” di un modernismo apparentemente incontrastato.
L’effetto del coronavirus ha aperto una realtà sociologica sopita, quasi narcotizzata, costretta a risvegliarsi. Notizie quotidiane che rimbalzano tra testate, social e reportage continui. Tutto si trasforma in ossessiva paura. La mente si apre al dubbio, ma la verità che risveglia una malattia infettiva e l’eco delle coscienze. La “fragilità” di un’epoca che tutto possiede meno che il coraggio dell’incertezza. Quel coraggio che ci mette di fronte alla realtà di noi stessi, che ci chiede forzatamente la necessità di confrontarci con l’ignoto, con la malattia, con l’individuo, con la possibilità di rovesciare tutti i meccanismi dell’ ”habitude” quotidiana di quest’epoca moderna e del suo “occidente vogue”.
Così iniziano a crollare quelle certezze su cui si basa il nostro vivere metodico e tecnologico.
Tutti sconfinano nel rispondere alla domanda su quanto sarà mortale e pericoloso questo virus infettivo quanto durerà, pochi invece, cercano risposte sulle risvolte sociali e umane che potrebbe creare. Ma soprattutto dovremmo chiederci cosa sappiamo di certo, in una vicenda che, non dà nessuna certezza ed ancora dall’epilogo da scrivere.
Partiamo dai fatti: virus infettivo, esploso in Cina, contagioso, classificato come ceppo sconosciuto, mortalità maggiori tra le fasce più adulte, paesi coinvolti tutti, stati presi di mira Italia e Cina.
La situazione si evolve di ora in ora, e dopo aver chiuso le scuole per una settimana al nord Italia, giorno 4 marzo è stato varato un decreto dove ogni scuola del territorio nazionale rimane chiusa sino al rientro di giorno 16.
Stiamo vivendo una realtà sanitaria e sociale per la nostra generazione mai vissuta. Scuole chiuse, servizi sanitari messi alle strette, turismo bloccato, eventi di ogni genere posticipati. L’economia subisce netti risvolti, le abitudini prendono un’altra piega. Cambia il passo. L’accelleratore si ferma. Anche gli eventi ecclesiastici modificano il loro quotidiano proseguire. La giustizia fermi i suoi tribunali sino a giugno. La gente è costretta a riflettere su come riorganizzarsi. Le movenze quotidiane vanno rivedute: distanza dalle persone, niente baci o strette di mano.
I territori si scontrano, nord e sud, gente che rientra, paesani che malvolentieri accolgono i residenti nei propri luoghi natii. Inutili razzismi per un’arma letale disposta ad arrivare ovunque.
Ai danni vanno aggiunte le beffe. L’Italia che dà sempre è stata Nazione che accoglie, si ritrova derisa e ghettizzata nel mondo.
Lo status attuale apre dei quesiti tanti inquieti quanto indispensabili.
Quali verità conosciamo sulla “partorienza” del virus, quali misure sanitarie vaccinali saranno necessarie, chi economicamente può trarne beneficio, quali Stati verranno maggiormente danneggiati ed in quali misura, quali le conseguenze nei prossimi mesi?
Qualunque sia la risposta l’umanità sta vivendo un dramma unitario.
Guerra batteriologica, interessi planetari, percentuali di vita e morte estratti come calcoli, necessità sperimentale, virus partito per banale errore dalla più grande Nazione del mondo?
Rimane la realtà quotidiana di un vivere che si trasforma in mezzo alla paura del domani, dell’incertezza, della fiducia tra le persone, tra i popoli.
Tutti i mali, benchè sorti come principio di sopruso hanno conseguito alla necessità del bene individuale. L’essere mortali ci aggancia tutti sullo stesso lato della bilancia, senza alcuna distinzione, unica giustiziere dell’umanità.
Così in un momento di enorme tragedia umanitaria, rimane il caso di rivedere il dramma.
Il virus si è diramato come ragnatela su questo pianeta. Dobbiamo ricondurre all’essenza della nostra coscienza umana. Di fronte alla vita potremmo anche dimenticarci di essere fratelli, ma di fronte alla morte univoca, incontrastata, che tocca chiunque ed in qualunque istante come “a livedda” che ci rende tutti uguali, ebbene di fronte a tutto questo ricordiamoci che maggiore è il rispetto nei confronti dell’esistenza più opportunità abbiamo di vivere una realtà più serena.
Cosi Charlie Chaplin chiude il suo film. Un modernismo che nel 1936 appariva con tutta la sua totale arroganza prosegue ad un modernismo che nel 2020 ha omologato chiunque, ecco che il coronavirus ci riporta agli albori, all’essenza dell’umanità. Nel film lui e lei nella loro solitudine continuano il loro cammino. Adesso proviamo anche noi nella nostra solitudine, spoglia dagli inganni del benessere omologato, a ritrovare le risposte per ripartire nel cammino. Isoliamo le nostre abitudini per rispetto del contagio ma non isoliamo le nostre coscienze.
E magari iniziamo a riflettere su come questi tempi moderni ci hanno da sempre ingannato come una giostra sopra un palco di marionette.