Per anni clan mafiosi operanti in particolare nel territorio di Tortorici, piccolo centro del messinese, con legami anche nelle province di Enna e Catania, incassavano milioni di euro con i contributi dell’Unione europea per la gestione dei terreni agricoli. Una truffa da ben 10 milioni di euro dal 2013 ad oggi e che ha portato a misure cautelari per 94 persone tra carcere e domiciliari.
Con la maxi operazione condotta all’alba di oggi dai carabinieri e dalla guardia di finanza, denominata Nebrodi, è stata sgominata l’associazione mafiosa. Si tratta della più grande offensiva dello Stato alla mafia dai tempi dell’inchiesta Mare nostrum negli anni Novanta.
Questa notte e alle prime luci dell’alba più di mille uomini sono stati impegnati ad eseguire le ordinanze firmate dal gip di Messina, Salvatore Mastroeni. Quasi 2.000 pagine scritte a seguito di un’indagine della direzione distrettuale antimafia di Messina coordinata dal procuratore capo Maurizio De Lucia.
Per 48 degli arrestati sono stati aperti i cancelli del carcere, mentre altri 46 dei 94 arrestati sono finiti ai domiciliari. Nel corso dell’operazione, inoltre, sono state sequestrate ben 151 imprese agricole oltre a conti correnti, rapporti finanziari e vari cespiti.
In tutto sono 194 gli indagati dell’inchiesta Nebrodi. Tra oro non solo gli esponenti mafiosi del gruppo dei Batanesi e del clan Bontempo Scavo di Tortorici, ma anche diversi colletti bianchi fra cui amministratori, funzionari pubblici e notai che gestivano i contributi agricoli, oltre ad una serie infinita di intestatari fittizi dei terreni che in realtà erano sempre gestiti dai mafiosi.
Diverse le accuse di cui dovranno rispondere gli indagati, a vario titolo. Da associazione a delinquere di stampo mafioso a concorso esterno all’associazione mafiosa; da danneggiamento seguito da incendio, uso di sigilli contraffatti alla falsità materiale commessa da pubblico ufficiale in atto pubblico o falsità ideologica commessa sempre da pubblico ufficiale in atto pubblico. E, ancora, trasferimento fraudolento di valori, estorsione, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche.
Due i tronconi dell’indagine. Uno gestito dai carabinieri del Ros che ha permesso di ricostruire l’attuale assetto e la gestione del territorio dello storico clan dei Batanesi diretto da Sebastiano Bontempo detto “u uappo”, Sebastiano Bontempo alias “u biondino”, Sebastiano Conti Mica e Vincenzo Galati Giordano.
Il secondo filone d’indagine, quello gestito dalla guardia di finanza, si è concentrato su una costola del clan tortoriciano dei Bontempo Scavo al cui vertice c’era Salvatore Aurelio Faranda che era riuscito ad estendere i propri interessi e quelli del clan fino ad avere contatti con la mafia di Caltagirone, in provincia di Catania.
Non solo rapporti con la mafia di Caltagirone, ma anche con cosa nostra palermitana, con le famiglie mafiose di Catania e dell’Ennese, in particolare del territorio di Centuripe. Ma non soltanto. Nel corso delle indagini è emerso anche che uno dei membri più attivi della famiglia mafiosa dei batanesi era stato interpellato da un funzionario regionale per “accomodare” furti e danneggiamenti di un trattore della regione utilizzato per dei lavori in una zona lontana da Tortorici.
Le indagini hanno permesso di ricostruire numerose estorsioni finalizzate ad acquisire terreni da inserire nelle domande per percepire i contributi comunitari, in particolare dell’Agea.
Dal 2013 ad oggi sarebbero stati oltre 10 milioni gli euro percepiti illecitamente tramite erogazioni pubbliche con il coinvolgimento di 1511 imprese agricole tra società cooperative e ditte individuali, tutte direttamente o indirettamente collegate alle due famiglie mafiose. Un business reso possibile grazie anche al supporto di colletti bianchi compiacenti i cui nomi dovrebbero essere resi noti fra poco alla conferenza stampa indetta alle 11.00 a Messina.
I mafiosi non lasciavano nulla al caso. Predisponevano la falsa documentazione che attestava la titolarità di terreni da inserire nelle domande anche con timbri falsi, lo spostamento delle particelle dei terreni da un’azienda all’altra, ma sempre gestita dai mafiosi, la revoca dei mandati riferiti a precedenti centri di assistenza agricola a favore di altri per rendere più difficile il reperimento della documentazione agli organi di controllo.