La Fondazione The Brass di Palermo potrà continuare ad utilizzare i locali del teatro Santa Cecilia di Palermo. È stata firmata, infatti, dalla regione la convenzione per il rinnovo della concessione d’uso.
Il governatore della Sicilia, Nello Musumeci, ha firmato la convenzione d’uso del più antico teatro siciliano, il real teatro Santa Cecilia del 1692, diventato, a detta del sindaco Leoluca Orlando “il salotto di Palermo”.
Tutto ciò si deve all’intuizione del professore Gaetano Armao, che nel 2010, allora assessore regionale dei beni culturali e dell’identità siciliana propose, al governo di quel tempo, di destinare il teatro alle “musiche del nostro tempo”. Un’intuizione, sul piano culturale, che ha dato all’intero mondo un’immagine nuova della Sicilia: sede dell’unico teatro pubblico storico che esista al mondo destinato al jazz.
Inoltre, la fondazione the Brass Group ha ottenuto l’agibilità del piano superiore dello stesso teatro. Grande soddisfazione da parte del Brass e del presidente, Ignazio Garsia che dice: “quanto sia stato importante avere sia il rinnovo della convenzione per l’uso del teatro quanto l’agibilità di un ulteriore spazio affinché il Brass possa continuare ad operare nel campo della cultura e della divulgazione delle attività della musica jazz”.
E il maestro Garsia non è nuovo alla realizzazione di attività concertistiche, tant’è che il Brass opera oramai da quasi cinquant’anni nel campo della musica jazz, diventandone un precursore nella nostra isola. Così come ricorda il giornalista esperto del settore Maurizio Zerbo, in uno dei suoi scritti dedicati alle attività svolte dal Maestro Garsia.
“È il jazz a far rilucere il suo talento sin dal 1974 – scrive Zerbo – al fianco di Chet Baker, Pepper Adams, Johnny Griffin, Tony Scott, Carla Bley, Charlie Byrd, Irio De Paola, Dino Piana. Questi concerti ne mettono mirabilmente in mostra tecnica sopraffina, squisita ricerca melodica, eclettico stile pianistico. Fondatore nel 1973 della Brass Group Big Band e l’anno successivo dell’associazione musicale “The Brass Group”, Garsia è precursore di una concezione musicale eterogenea, volta a far interagire creativamente il jazz con le altre esperienze musicali del Novecento.
Tale estetica è magistralmente rappresentata dall’Orchestra Jazz Siciliana, che ha elevato a regola l’indeterminatezza delle varie forme del jazz. Ed in più una mirabile capacità policentrica di affrontare vari repertori (jazz, funk, fusion, rock, musica eurocolta) come punto di partenza per soluzioni estemporanee, di grande freschezza improvvisativa. Il musicista palermitano ha spinto all’ennesima potenza l’istanza di ecumenismo musicale nel 1985, quando ha allestito una duplice tessitura orchestrale classica-jazz per l’armonicista Toots Thielemans.
Tra gli altri fiori progettuali all’occhiello, l’esecuzione (1991) in prima europea della suite mingusiana Epitaph e Porgy And Bess (1996) di George Gershwin. A pensarci bene, c’è un imperdonabile vulnus in questa carriera artistica: l’aver sacrificato le doti musicali per l’attività di animatore culturale.
È ancora indelebile nel pubblico palermitano la sua rilettura della Queen’s Suite, grazie a una mirabile esecuzione per piano solo del quinto movimento (The Single Petal of a Rose) in chiave impressionistica francese. Una prova superba, paradigmatica di una ricerca pianistica variegata, posta al servizio di un linguaggio post-romantico che scorre parallelo a un solido filo jazzistico.
L’interpretazione per solo pianoforte di The Star Crossed Lovers dimostra come nel caso di Garsia la partitura non diviene un mero cimelio da museo, ma pagina viva e palpitante. Chissà perché è rimasto ad oggi nel cassetto questo superbo set dell’Orchestra Jazz Siciliana, dove il seducente pianismo del leader rimanda alla natura inclusiva del jazz, nonché alla sua capacità di ridare nuove veste a codici allogeni. Il tutto alimentato da nitidezza di tocco, senso della misura e magistrale swing che si ritrova soprattutto nei suoi concerti con Chet Baker e Gianni Cavallaro a Palermo nel 1976.
La loro rivisitazione dello standard “All The Things You Are”, contenuta nel primo volume della collana editoriale “I grandi concerti The Brass Group”, è una lezione di classe, lirismo e tensione emotiva. Un concentrato di raffinatezza armonica e tecnica sopraffina, che riassume l’essenza del jazz: swing e capacità di regalare profonde emozioni, attraverso l’attimo fuggente di ammalianti giochi improvvisativi.
Tra i suoi arrangiamenti orchestrali per l’OJS, svetta “How Far Can You Fly?”del pianista Luca Flores: un gioiello di trasognata poesia e adamantina bellezza, che infonde una nuova luce al brano rivisitato. Oggi è in auge il jazz da camera, che rivitalizza la musica afroamericana con innesti eurocolti. È una pratica musicale già esercitata con successo da Garsia fin dagli anni Ottanta attraverso la sua duplice anima musicale, che da un lato guarda alla lezione storica di Debussy e dall’altra a quella evansiana, debitamente riattualizzata con il linguaggio jazzistico contemporaneo.
Non meno importante è la sua attività di docenza nei conservatori statali di musica, alla quale almeno due generazioni di jazzisti devono un’impagabile formazione enciclopedica, che pone un genuino spirito di ricerca al centro di una frastagliata espressività, attenta a ogni aspetto della musica contemporanea. Come direttore artistico della fondazione The Brass Group, egli ha contribuito in modo determinante alla valorizzazione in Sicilia della cultura jazzistica, sin dai primi concerti nella storica sede di Via Duca della Verdura, a Palermo.
Un piccolo scantinato, illuminato dal genio dei principali protagonisti del jazz moderno. Qui del jazz si assaporava la duplice dimensione estetica e umana legata a note musicali e storie di vita vissuta, quando ancora i musicisti non erano fagocitati dallo star-system, volando come schegge impazzite in svariati luoghi del mondo in pochi giorni.
Grazie a lui, il Brass Group ha così portato alla ribalta nell’Isola le policrome nuances di una musica che ha elaborato forme nuove di condotta ritmica, armonica, melodica e perfino di comportamento: multiculturalismo, cosmopolitismo, relativismo culturale. Attraverso concerti, seminari e la formazione di una scuola di musica, si intendeva sottolineare quanto l’estetica jazzistica abbia contribuito alla creazione di nuovi generi musicali come il rhythm & blues e il rock fino alle forme più recenti di world music.
Tale lungimirante politica culturale è stata sempre realizzata all’insegna della trasversalità stilistica, coprendo uno spettro espressivo a trecentosessanta gradi dell’estetica musicale afroamericana: free-jazz, grandi orchestre, jazz tradizionale e mainstream, blues, samba-jazz. In primo piano una musica che non conosce confini, per rappresentare la società globalizzata, in un crogiuolo affascinante di intrecci e confluenze.
Nei cartelloni del The Brass Group si ritrovano i più acclamati solisti del jazz moderno: Miles Davis, Charles Mingus, Dizzy Gillespie, Dexter Gordon, Max Roach e Art Blakey, solo per citarne alcuni. Di grande valore è altresì la documentazione del jazz italiano (Giorgio Gaslini, Enrico Rava, Paolo Fresu, Franco D’Andrea, Enrico Pieranunzi, Massimo Urbani) e siciliano (Claudio Lo Cascio, Gianni Cavallaro ed Enzo Randisi). Vi prevale l’idea di jazz quale categoria musicale policentrica, che dialoga con il mondo eurocolto e che include al suo interno tradizioni, razze e sensibilità diverse. Per Garsia, l’essenza del jazz non si trova in ogni suo singolo stile, bensì in un unicum che unisce King Oliver e Duke Ellington all’Art Ensemble Of Chicago e Anthony Braxton”.