Si chiama il filo della speranza il nuovo appuntamento inserito nel calendario degli eventi per l’edizione della Bias 2018, la biennale internazionale di arte sacra contemporanea, diretta e curata da Chiara Modìca Donà dalle Rose.
Un appuntamento promosso da Wish, world International sicilian heritage con il sostegno del ministero degli esteri, della regione, della città di Palermo e della diocesi di Palermo, università di Palermo, università Iuav di Venezia e politecnico di Torino.
Martedì 9 ottobre alle ore 18.00 a palazzo Belmonte Riso è in programma la presentazione il progetto artistico “Il filo dell’alleanza” di Daniela Papadia, con la collaborazione scientifica di Riccardo Cassiani Ingoni voluto fortemente dalla presidentessa WISH – BIAS, Chiara Modìca Donà dalle Rose. Sarà presente il console generale d’Italia. Il Filo dell’alleanza è un progetto del programma “Italia, Culture, Mediterraneo” realizzato con il sostegno del ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, nell’ambito della presidenza Osce.
Un’opera collettiva che coinvolge un gruppo di donne tra Israele e Palestina, in un progetto che promuove integrazione e convivenza nel Mediterraneo e nel Medio Oriente attraverso l’arte e la tecnica del ricamo. Il ricamo come messaggio di pace. È questo, infatti, il progetto dell’artista Daniela Papadia, promosso dall’associazione WISH – World International Sicilian Heritage nell’ambito delle attività di BIAS 2018, la biennale internazionale di arte contemporanea, che mira al dialogo tra diverse culture a prescindere dalla nazionalità.
Un progetto partecipato, che vuole condurre ad una riflessione sui principi di uguaglianza e di fraternità fra tutti i popoli, indipendentemente dalla loro religione e origine. L’artista utilizza il ricamo come strumento per rappresentare questo intrico di relazioni, di contatti umani, di scambi, di vite, parole, culture che si intrecciano, fondamenti basilari nella storia dell’uomo. L’artista ha scelto il ricamo poiché simboleggia l’arte della “riparazione”, una metafora tra arte e scienza per ricucire gli strappi consumati in conflitti, purtroppo, ancora attuali.
Nell’opera “Il filo dell’alleanza”, questa trama viene rappresentata da sei arazzi di 1,23 x 2.60 m, assemblati con un filo d’oro che rappresenta il Mediterraneo. L’artista ha coinvolto sei gruppi di donne, del movimento Women Wage Peace, appartenenti ad etnie e religioni diverse (palestinesi, israeliane, beduine e druse) e della scuola di moda a Rehovot di Letizia Della Rocca, che insieme hanno incontrato la ricamatrice Michal Avvisar divenuta la coordinatrice delle esecutrici.
Ognuna di loro ha realizzato un arazzo tra Israele e Palestina, luoghi per la Papadia ideali per ricucire gli strappi aperti dall’interruzione del dialogo e dei conflitti e per riavviare un processo di alleanza e convivenza. Nelle opere, i fili d’oro ricuciono quindi simbolicamente gli strappi e fanno incontrare donne provenienti dai due Paesi, che desiderano conoscersi e lavorare insieme, ma che sono separate dalla storia, dalle guerre e dalle divisioni interne. L’oro è incorruttibile, il metallo più prezioso, è causa di guerre e disuguaglianza, in questo caso l’oro unisce e crea l’incontro.
Questo gruppo di lavoro si è infine incontrato a Gerusalemme dove ha riunito i sei lavori in un’unica opera collettiva, un grande arazzo di 2,40 metri x 5,20 metri di lunghezza, che rappresenta la mappa del Mediterraneo, una sorta di genoma umano, che integra e definisce l’unicità e somiglianza di ogni individuo, raffigurando i 12 geni che garantiscono la funzione del sangue, individuati dal neurofisiologo Riccardo Cassiani Ingoni. Il sangue è, infatti, il fluido corporeo che dà la vita e che da sempre rappresenta nella storia i valori di coraggio, le alleanze, le rotture, l’appartenenza ad un popolo o ad una famiglia.
“La mappa del genoma, nella sua complessa elaborazione, ci mostra gli elementi comuni che appartengono all’umanità intera. Lo studio del genoma umano porta così a un paradosso linguistico: “Unicità e comunanza”. Il genoma ci dice che facciamo parte di un unico progetto umano. Noi siamo unici, esattamente come tutti gli altri, e il rispetto di ogni uomo è il fondamento della dignità della comunità umana”. L’intero progetto è stato raccontato dal regista Francesco Miccichè in un documentario, prodotto dall’Istituto Luce e da Reporter. Il 9 ottobre sarà proiettato il trailer.
La biennale, rappresenta un momento di alto valore culturale per la città di Palermo e della Sicilia tutta. “Porta”, simbolo dell’edizione di quest’anno, rappresenta infatti un “ponte” tra la nostra terra, sempre stata il centro fisico oltrechè storico del Mediterraneo, e tutti i paesi circostanti. BIAS perciò ha coinvolto importanti luoghi storici, culturali e religiosi della città di Palermo del quartiere Cassaro e la novità del 2018 è l’apertura di padiglioni diffusi sul territorio siciliano, egiziano ed israeliano con work-shop dedicati. La scoperta di luoghi pubblici di rilevanza artisco-culturale, che sono momentaneamente chiusi è una delle prerogative di WISH.
Come già per la prima edizione, la BIAS è organizzata in padiglioni che fanno riferimento ad antiche e nuove religioni o filosofie: gli artisti daranno vita ai vari padiglioni della filosofia, scientifico darwiniano, delle religioni perdute, indù, buddista, taoista, delle religioni africane, esoterico e abramitico che racchiude ebrei, cristiani, maroniti, ortodossi, protestanti e islamici.