È stata archiviata l’inchiesta sull’agguato all’ex presidente del parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci, nel maggio del 2016. Lo ha stabilito il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Messina, Eugenio Fiorentino.
Quel giorno di maggio criminali bloccarono l’auto blindata dell’ex presidente del Parco dei Nebrodi, mettendo delle pietre sulla strada che da Cesarò porta a San Fratello e spararono alcuni colpi di arma da fuoco contro l’auto che colpirono la parte bassa dello sportello posteriore dove viaggiava Antoci.
Dietro l’auto di Antoci c’era un’altra auto su cui viaggiava l’allore dirigente del commissariato di Sant’Agata di Militello, Daniele Manganaro, che sparò alcuni colpi di pistola mettendo in fuga i banditi. Nell’inchiesta erano state indagate ben 14 persone all’inizio.
Si è pensato che l’atto intimidatorio nei confronti di Antoci si fosse verificato perché proprio in quel periodo Antoci stava introducendo nel parco un protocollo di legalità per l’assegnazione degli affitti dei terreni agricoli.
Non poteva mancare la reazione di Antoci alla notizia dell’archiviazione. “A più di due anni dal vile attentato che ha colpito me e la mia scorta, oggi dall’inchiesta chiusa dalla magistratura, la cosa sola certa venuta fuori dalle indagini è che quel commando in tuta mimetica che assaltò la Thesis sulla quale viaggiavamo quella sera, aveva il chiaro obiettivo di uccidere colpendo prima la ruota posteriore sinistra dell’auto blindata e successivamente, dandole fuoco con le molotov ritrovate, constringendoci a scendere per essere giustiziati. Solo grazie all’arrivo del vice questore Manganaro siamo riusciti a salvarci”.
“Adesso – prosegue Antoci – speriamo vivamente in un collaboratore di giustizia che possa fare luce ed aiutare la magistratura a riaprire le indagini come è spesso accaduto nella storia degli attentati compiuti in Sicilia. Ho il desiderio di vedere alla sbarra chi, quella notte, ci aspettava per ucciderci ma anche chi, in questi anni, ha tentato di depistare ed infangare. Per questi ultimi nei prossimi giorni arriveranno certamente i primi rinvii a giudizio”.
Sono tante le famiglie mafiose che hanno ottenuto in questi anni contributi europei nonostante molti dei loro esponenti si trovassero in carcere o fossero già condannati. Questo perché fino all’impegno di Antoci e alla creazione del Protocollo di Legalità, oggi legge dello Stato, non esisteva alcun controllo sia nell’assegnazione che nell’erogazione di questi fondi: era un business rapido e senza rischi. Per gestire un traffico di droga, per esempio, i tempi sono lunghi, il giro è internazionale e si rischiano pene altissime. Invece sui Fondi Europei per l’Agricoltura il guadagno era altissimo, si faceva in fretta, il rischio era bassissimo come le pene se fossero stati incriminati.
Ma che il tema non fosse solo siciliano lo si era capito subito dopo l’attentato del 18 maggio 2016 ai danni del Presidente Antoci. Cominciarono a uscire fuori fatti riguardanti altre località: Calabria ed altre regioni, anche del Nord, dove il metodo di incasso milionario dei Fondi Europei, a discapito degli onesti agricoltori, era diventato un metodo oleato e che durava da anni.
Anche la vicenda dell’uccisione del giornalista slovacco Jan Kuciak e della fidanzata è collegata all’erogazione dei Fondi Europei per l’agricoltura nelle mani della ‘ndrangheta e pare sia stato fermato prima che continuasse a parlare di ciò che avveniva in Calabria e in Slovacchia.
“Vorrei solo poter ritornare ad una vita normale – continua Antoci ma perché tutto questo possa accadere ho bisogno di vedere arrestati e condannati gli autori del mio attentato. Non passa notte in cui non tornano nei mie sogni gli spari e le grida di quella notte, la paura del Vice Questore Manganaro e degli uomini della mia scorta, gli occhi smarriti di mia moglie e delle mie figlie al rientro dall’ospedale. La verità – continua Antoci – è che se ognuno avesse fatto il proprio dovere, se si fosse vigilato sulle erogazioni dei Fondi Europei, evitando così che andassero nelle mani delle mafie italiane, tutto ciò poteva essere senz’altro evitato.
Adesso – conclude Antoci – speriamo in qualche collaboratore di giustizia, è sempre accaduto così per quasi tutti gli attentati di mafia compiuti in Sicilia, è sempre arrivato il solito pentito che fa nomi e cognomi. Spero arrivi presto….. solo così i miei sogni, se pur ormai non più tranquilli, saranno almeno alleviati dall’aver avuto giustizia”.