Il mio vecchio prete, don Angelo Sterrantino, fine intellettuale e profondo conoscitore dell’animo umano, amava ripetermi come la sua predilezione si orientasse decisamente verso gli uomini inquieti. Non lo interessavano quei giovani spenti, chiusi nelle loro dogmatiche certezze, anestetizzati dal consumismo dilagante, incapaci di coltivare la grande avventura intellettuale della vita, in una ricerca indefinita e incessante del senso della vita e della natura delle cose.
L’inquietudine e il dubbio rappresentano le molle più autentiche che spingono gli uomini, nel quadro di un intenso, complesso e lacerante “scavo” della coscienza, a tentare di superare l’àmbito ristretto del proprio orizzonte spazio-temporale. Sono segni distintivi che si ritrovano nella personalità e da cui muove il lavoro intellettuale di uno scrittore siciliano, Luciano Armeli Iapichino, una delle voci più genuine e battagliere nel panorama culturale del nostro territorio che con i suoi scritti – dai casi di cronaca ai profili storici di personaggi, dalle figure di letterati al suo viaggio filosofico-esistenziale nell’universo dell’amore – continua a interrogare le nostre coscienze, da acuto e lucido interprete del nostro tempo. È proprio questo senso dell’inquietudine che lo spinge a non accontentarsi del grigiore della realtà odierna e a ricercare nuove strade, nuovi percorsi intellettuali, a denunciare la prepotenza e il malaffare, a diffondere il valore di un’etica della responsabilità. Le sue riflessioni si caratterizzano per la forte impronta etico-filosofica e la valenza culturale, senza dimenticare la finalità pedagogica, sempre presente, frutto del suo impegno di docente.
In questo suo sforzo creativo, Armeli è aiutato dalle sue doti indubbie di narratore, di persona capace nel suo lavoro di scrittura di raccontare casi di cronaca esemplari, con uno stile personale che mescola all’esposizione rigorosa dei fatti, riflessioni filosofiche e figurazioni letterarie.
Una sensibilità che spesso trasborda, come una nave in preda a onde giganti che cerca un attracco disperato e sicuro, nel caos di un’esistenza di cui pretende una luce, uno spiraglio, una pax dell’anima. Da qui, parafrasando Huxley, “il desiderio di creare (il suo) ordine dal disordine, il (suo) desiderio di far scaturire l’armonia dalla disarmonia, un’unità dalla pluralità”.
Eppure molti non sanno che i primi cimenti del giovane Armeli, maturando liceale nei mesi a cavallo delle stragi del ’92, imbevuto della lectio di uno straordinario studioso e docente di Storia della filosofia dell’Università di Messina, Girolamo Cotroneo, recentemente scomparso, furono tenuti a battesimo da Giuseppe Craxi, docente di Lingua e letteratura inglese a Roma e studioso di dottrine filosofiche ed esoteriche, che curò la prefazione del suo primo saggio Il tiranno e l’ignoranza (Armenio Ed., Brolo 2009). Ecco quanto scriveva Craxi in quel volume, che ottenne il Premio Internazionale Letterario e Artistico Elio Vittorini: “da quanto viene detto nel saggio – scrive Craxi – ci troviamo in un’età oscura, in India viene detto nell’età di Kaliyuga, la dea nera che causa un oscuramento coscienziale e un’inversione dei valori, per cui tutte quelle leggi universali che stanno alla base di un sano vivere civile vengono capovolte”.
Su queste premesse, non sorprendono gli effetti che la lettura del testo produsse una volta finito nelle mani di un giovane avvocato, cui la vita ha riservato un qualcosa di indicibile: la mattanza di un familiare mascherata da suicidio. Quella di Attilio Manca. L’avvocato è il fratello, Gianluca, e sono anni (2006) in cui bisogna battagliare per il sacrosanto diritto alla verità. Armeli dà il suo contributo, frugando nelle acque torbide della zavorra umana e della sua inquietudine. E tira fuori Le vene violate. Dialogo con l’urologo siciliano ucciso non solo dalla mafia (Armenio Ed. 2011), impreziosito dalle prefazioni di Niki Vendola e Sonia Alfano.
Arriva la svolta. Il volume contribuisce ad una più ampia diffusione, presso l’opinione pubblica, del “caso Manca”. I giornali ne parlano. A titolo esemplificativo, ecco quanto scriveva il Wall Street International: Il truce episodio, […] è già ben lumeggiato dalle considerazioni di Luciano che nella “presentazione”, come su pagina bronzea, ha inciso a lettere di fuoco una lunga epigrafe funeraria per la popolazione di un’intera regione, condannata a non vedere, non parlare, non sentire… o a morire. In una delle numerose presentazioni, a Napoli, la lettura delle pagine più intense del volume è affidata al genio creativo di un’attrice calabrese. Non una qualunque: si tratta di Annalisa Insardà; sì proprio lei, la nota attrice televisiva (tra gli altri, Vivere, Carabinieri 6, Lea). Il dolore de Le vene violate, in quella circostanza, si amplifica a tal punto da spingere il sindaco De Magistris ad alzarsi dal tavolo dei relatori e a congratularsi con l’attrice per la sua sensibilità e resa interpretativa. In quell’aula dell’Università Federico II era sceso il gelo. E così sarà per tutte quelle presentazioni, in lungo e in largo per la penisola, in cui il volume è stato presentato.
Armeli non ha però dimenticato la passione per la storia e per la ricerca. E si tuffa in un nuovo approfondimento che lo terrà lontano, ma solo per poco, da quel ruolo “savonaroliano” di denuncia dei mali sociali, dalla cronaca dei nostri giorni. Compie un viaggio “virtuale”, a ritroso, nell’America del proibizionismo e ricompone, con un’attenta compulsazione delle fonti, la storia del consigliere più fidato di Alfonso Capone detto “Al”: Tony Lombardo. L’Uomo di Al capone. Tony Lombardo: dall’indigenza siciliana a zar del crimine nella Chicago anni ’20, questo il titolo del volume (Armenio Ed. 2014), che reca la prefazione del sottoscritto e la postfazione del collega dell’Università di Messina (DICAM), il sociologo Francesco Pira, ripercorre la vicenda esistenziale e la parabola criminale di Lombardo, dai tempi della sua infanzia nel paese d’origine, Galati Mamertino, sino al “salto” negli Stati Uniti, dove nel giro di pochi anni sarebbe divenuto un potente uomo d’affari al fianco di Al Capone. Nel volume si riflettono la società e i tempi del Grande Gatsby, una Chicago assurta ad una Gotham City selvaggia in cui la legge era dettata dai proiettili Dum Dum e dal business. Una storia di emigrazione. Come tante. O forse, come poche – visto il rilievo assunto dal protagonista – che Armeli ha sottratto all’oblio della fugacità del tempo che passa.
E sì, la vita passa, i momenti passano, le emozioni passano. Solo che a volte vanno cristallizzate. Anche i turbamenti del cuore. Ed è così che lo scrittore siciliano compie un altro viaggio: non a ritroso ma in profondità, in terre invisibili che hanno la prerogativa di essere fertili e aride pari tempo. Quelle dell’Amore. Semantica di un sentimento. Viaggio nelle terre dell’amore (Leonida, Reggio C. 2016) è – prendendo a prestito le parole della prefatrice Ornella Fanzone – una dirompente, intensa prova d’autore, ricca di virtù poetiche e sentimentali, autentica cornucopia di preziosità letterarie, liriche e narrative, pozzo di San Patrizio di ragionamenti, lettere e confessioni, di occasioni d’oro per ritirarsi … in preghiera nell’isola che è già Isola da lui abitata, dove porre mano al bisturi che indaga le pene dell’Inferno (o dell’Amore).
Armeli sembra instancabile, letterariamente “compulsivo”, indomabile, smanioso di ripartire per nuove avventure e di raccontare nuovi approdi. Forse deve colmare un vuoto che gli deriva da altro; o forse è quell’inquietudine alle origini della sua formazione che si è ingrassata e non c’è verso di stanarla… O forse, ancora, dà fuoco a una vena creativa che inaspettatamente si è presa gioco di lui nel fluire della sua quotidianità e che lui cavalca al massimo delle prestazioni senza risparmio energetico alcuno. Ecco che a cavallo degli inverni cura un volume ricco di poesia e aneddoti di un’Italia che non c’è più, quella di Saragat, De Chirico, di Alfredino Rampi. Quella di Nino Ferraù, il poeta galatese, padre dell’Ascendentismo e amico di Salvatore Quasimodo. Nino Ferraù. Un intellettuale. La sua anima. La sua epoca (Leonida Ed. 2015) è il titolo del saggio cui hanno dato un prezioso contributo accademici dell’Università di Messina.
Resta che tra lavoro, studio, convegni e scrittura, in una giungla di ostacoli, lo scrittore siciliano trova il tempo anche di collaborare con la testa giornalistica Antimafia Duemila con sede a Palermo. I suoi articoli, un mix di denuncia, riflessione e inchieste sono adesso raccolti in un volume, Lucido delirio. Riflessioni socio-esistenziali alla luce del pensiero divergente (Armenio, Brolo 2017) con la prefazione di uno dei giornalisti d’assalto che hanno fatto la storia di una professione che spesso smarrisce la sua missione civilizzatrice: Nino Amadore. Così si esprime il prefatore: “Le parole diventano massi enormi da utilizzare con cura quando entrano nel racconto di cronaca, nella vita quotidiana, nella carne viva della società: la vita delle persone… un lavoro profondo di scoperta: il disvelamento come contrario dell’occultamento.”
E, in fondo, proprio questo è Luciano Armeli Iapichino. Lui non le manda a dire. Le dice. Dopo averle studiate, analizzate e approfondite. Cosa? Tutte le questioni che qualcuno occulta e nuocciono gravemente alla salute di una terra che vuole non essere solo tormento. Dagli anni del liceo orlandino “Lucio Piccolo” ai convegni in sede istituzionali. Non ultimo alla Camera dei Deputati, lo scorso 25 luglio, sulla Zona grigia. Fenomenologia dell’invisibile forza della corruzione, invitato a relazionare nella qualità di esperto. Questa è la storia di un ragazzo, della sua “inquieta” passione per la scrittura e lo studio, di un fidato collaboratore, di un amico.
Antonio Baglio, storico del DICAM di Messina