Associazione per delinquere finalizzata alla commissione di truffa aggraata per il conseguimento di erogazioni pubbliche. È questa l’accusa per 45 persone, tutte italiane, alcune delle quali pregiudicate, coinvolte nell’operazione della guardia di finanza denominata Maglie larghe.
Le misure cautelari sono state eseguite questa mattina dalle fiamme gialle dei comandi di Enna, Messina e Catania. Fra i reati contestati, oltre truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, i 45 dovranno rispondere, a vario titolo, di riciclaggio e impiego di denaro, ricettazione, auto riciclaggio e falso commesso da pubblico ufficiale e da privato.
I provvedimenti hanno riguardato 27 persone cui è stata notificata sia la misura cautelare personale (9 ai domiciliari e 18 con obbligo di presentazione alla pg), sia il sequestro preventivo. (18 persone sono interessate dal solo sequestro preventivo).
L’operazione di servizio a cui hanno partecipato più di 150 militari tra finanzieri, carabinieri e carabinieri forestail, era iniziata nel 2015 e si è protratta fino al 2017.
In particolare, le indagini sono state svolte dal comando provinciale dell’Arma e dal comando locale della guardia di finanza che ha curato più in dettaglio la parte economico-finanziaria con accertamenti e anche intercettazioni telefoniche. È stato così portato alla luce un collaudato sistema affaristico-criminale di illecita acquisizione di contributi comunitari dall’Agea.
Molta gente ha percepito dal 2005 ad oggi ingentissimi contributi comunitari per importi che superano i 10 milioni di euro. Più in dettaglio, un determinante contributo alla realizzazione del disegno criminoso è stato possibile attraverso l’attività di molti operatori e responsabili di Centi di Assistenza Agricola. Questi ultimi, invece di svolgere le proprie funzioni di consulenza e controllo, all’atto della presentazione delle domande erano parte integrante del sistema fraudolento.
Per ottenere i fondi dell’Agea venivano spesso presentate domande da soggetti fisici e giuridici che fornivano false dichiarazioni sostitutive o altri atti falsi. Inoltre, per eludere possibili investigazioni ed accertamenti da parte delle autorità, le domande venivano spesso formalizzate da soggetti, soprattutto donne, con requisiti che destavano raramente l’attenzione degli inquirenti.