Messina: scoperta cellula dei Santapaola, 30 arresti
in manette anche avvocato e funzionario comunale - VIDEO E FOTO
Ci sono anche un funzionario del comune di Messina, un avvocato e diversi imprenditori fra le persone raggiunte da custodia cautelare nell’ambito dell’operazione antimafia denominata “Beta”.
Il funzionario è accusato di orruzione, mentre l’avvocato è indagato per riciclaggio. Questa mattina i carabinieri del Ros hanno arrestato 30 persone. Facevano parte di una “cellula” operativa in città del clan SAntapaola di Catania.
Secondo la dda della proura peloritana, gli arrestati sarebbero tutti connessi a un disegno di gestione di interessi economici illeciti contrassegnati da riservatezza e reciproca affidabilità.
Le trenta persone arrestate nell’operazione Beta dovranno rispondere, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsione, trasferimento fraudolento di valori, turbata libertà degli incanti, esercizio abusivo dell’attività di giochi e scommesse, riciclaggio e possesso illegale di ari.
Le indagini del Ros hanno accertato, per la prima volta, la presena di una cellula operativa a Messina della famiglia mafiosa di Santapaola di Catania.
Il gruppo avrebbe avuto interessi negli appalti pubblici grazie alla collusione di alcuni funzionari dell’amministrazione comunale per l’acquisizionen di immobili da adibire ad alloggi popolari. Avevano anche interessi nelle corse clandestine di cavalli e nelle scommesse.
Questa mattina i carabinieri hanno eseguito gli arresti nelle province di Messina, Catania, Siracusa, Milano e Torino.
Per 10 degli indagati il giudice per le indagini preliminari ha disposto gli arresti domiciliari.
L’indagine Beta è riuscita a svelare una entità criminale partorita da Cosa nostra catanese, gestita da soggetti appartenenti alla famiglia di sangue. Come Francesco e Vincenzo Romeo. Rispettivamente cognato e nipote del boss Nitto Santapaola. Sono infatti marito e figlio della sorella di Nitto, Concetta Santapaola.
Il gruppo messinese di Santapaola era volutamente distante dalle bande armate e collocato all’interno dell’economia reale e delle relazioni socioeconomiche, con agganci in ogni settore della società che conta.
Il gruppo criminale era capace di teorizzare l’abbandono delle forme violente e del rituale mafioso per gestire società di servizi, controllare in modo diretto appalti su scala nazionale (emergono interessi sull’autostrada Salerno-Reggio Calabria ed Expo). Grazie all’operazione Beta è emerso che il gruppo gestiva il gioco illegale e le scommesse della massima serie calcistica, operare attraverso la corruzione e il clientelismo il controllo sull’attività di enti pubblici, attivare informatori e complici presso uffici pubblici.
Insomma, una struttura criminale che ha sostituito i manager ai padrini e che ha operato per il profitto con il concorso esterno delle squadre armate. È stato così rovesciato il tradizionale rapporto dei ruoli tra società bene e società violenta rispetto al conseguimento degli scopi associativi mafiosi.
L’operazione Beta ha scoperto che la struttura gestita dal gruppo Santapaola di Catania, era sovraordinata alle bande armate presenti a Messina. Risulta singolare la sostituzione del pizzo con altre forme di intervento economio, grazie anche a società che forniscono servizi alle imprese, ovvero gestiscono in subappalto la fornitura di prodotti parasanitari per onto delle Asl.
Fra gli arrestati nell’operaione Beta: professionisti, l’ex presidente dei costruttori di Messina, imprenditori, titolari di società, funzionari del comune. Tutti connessi da un disegno di gestione di interessi economici illeciti contrassegnati da riservatezza e reciproca affidabilità.
Le indagini che hanno portato all’operazione Beta, erano state avviate nel 2013. Gli agenti hanno avuto modo di riscontrare quanto già riferito da alcuni collaboratori di giustizia documentando, per la prima volta, l’operatività nel capoluogo peloritano di una cellula di Cosa nostra catanese, diretta dalla famiglia Santapaola.
Con l’operazione Beta sono state ricostruite le dinamiche associative del sodalizio e il ruolo di vertice rivestito da Vincenzo Romeo. Il giovane era supervisionato dal padre Francesco. “Lavorava” con la collaborazione dei fratelli Pasquale, Gianluca e Benedetto Romeo.
I rapporti con l’articolazione territoriale di cosa nostra catanese, basati ache su legami parentali, sono risultati solidi e funzionali alle esigenze dell’associazione.
L’operaione Beta ha restituito l’immagine di un’entità crimiale ancorata alle tradizioni mafiosa e al tempo stessa moderna e capace di agire in maniera quasi silente, limitando al massimo il ricorso ai tradizionali “reati di visibilità”, tipici dell’associazione mafiosa e di proiettare i propri interessi in diversi settori dell’imprenditoria. Il tutto grazie ad una non comune capacità di interlocuzione con professionisti e ambienti istituzionali, in un percorso trasversale in cui il ricorso alla violenza è rimasto sullo sfondo, limitato ai momenti di particolare criticità e nei rapporti con i clan di quartiere.
L’indagine Beta ha permesso di ricostruire gli interessi del sodalizio, in particolare nell’online gaming. In particolare, attraverso le società Start srl, Win play soc. coop e Bet srl è emersa l’influenza di Vincenzo Romeo anche sulla Primal, società titolare di una concessione con diritti su 24 sale e 71 corner.
GLI ARRESTATI
Il gruppo criminale, inoltre, aveva interessi nell’organizzazione di corse clandestine di cavalli, tenute solitamente alle prime luci dell’alba lungo alcune vie cittadine.
Gli interessi del gruppo erano anche nel settore immobiliare e dei lavori edili in genere.
Inoltre, l’indagine Beta ha evidenziato l’interesse dei sodali verso gli appalti pubblici e privati del capoluogo messinese, realizzato anche tramite l’imposizione di forniture e manodopera.
Un episodio, in particolare, ha messo in luce le ingerenze del gruppo criminale nella procedura di acquisto di immobili da adibire ad alloggi popolari, deliberato dal comune di Messina per il risanamento dell’area cittadina denominata “Fondo fucile” e ha fatto emergere l’inquietante rapporto collusivo con alcuni esponenti dell’ufficio urbanistica dell’amministrazione locale, funzionale all’aggiudicazione dell’appalto.
Le manette sono scattate ai polsi anche dell’avvocato Andrea Lo Castro. Il legale, secondo quanto emerso dall’operazione Beta, avrebbe messo a disposizione del sodalizio le proprie competenze professionali. In questo modo consentiva il riciclaggio di denaro proveniente da reati, la falsa intestazone di beni e l’elaborazione di strategie per la sottrazione, in frode ai creditori, della garanzia patrimoniale sulle obbligazioni, prestandosi in prima persona anhe a fungere da prestanome per l’intestazione di beni.
Dalle intercettazione è emersa la disponibilità di armi in capo al gruppo e l’esistenza di collusioni con esponenti delle istituzioni finalizzati ad ottenere notizie su eventuali indagini in corso.