Palermo: “Migrants”, le foto di Liu Bolin raccontano l’invisibilità di chi arriva sui barconi
Che sia il color creta delle spiagge dove approdano naufraghi, quello dei barconi su cui fuggono dall’Africa o il pantone blu della bandiera dell’Unione Europea, i corpi dipinti dei migranti protagonisti delle opere fotografiche di Liù Bolìn – l’artista cinese che domani (venerdì 24 febbraio) e fino al 17 marzo, espone il suo progetto a Palermo per il cartellone di BAM (Biennale Arcipelago Mediterraneo, iniziativa dell’Assessorato comunale alla Cultura) – sembrano fantasmi che affiorano all’improvviso dalle inquadrature. Corpi mimetizzati, invisibili camaleonti che “evocano la relazione evanescente tra la vita e la morte”.
Lo spiega lo stesso Bolìn – primo attore dei suoi clic mimetici – nel video dedicato al backstage di “Migrants”, performance realizzata a Catania nel settembre del 2015 grazie alla collaborazione della Comunità di Sant’Egidio e con la partecipazione di una ventina di profughi provenienti dal C.A.R.A. di Mineo.
Inaugurazione venerdì prossimo alle 18, negli spazi della Haus Der Kunst Palermo Dusseldorf (Cantieri Culturali alla Zisa, via Paolo Gili 4, a Palermo). In mostra sei immagini, alcune in grande formato, e il video del backstage. Presentato in anteprima al Mia Photo Fair nel marzo 2016 a Milano, “Migrants” di Liù Bolìn nasce da un’idea di Boxart (Verona); a Palermo, quella di BAM è la sua prima esposizione pubblica.
Spiega Beatrice Benedetti, direttore artistico di Boxart: “Dopo due anni di gestazione (2013-2015) e vari sopralluoghi con l’artista a Lampedusa, abbiamo contattato la comunità Sant’Egidio di Catania che ci ha aiutato ad ottenere i permessi dalla Capitaneria di Porto per gli scatti sulle banchine e la partecipazione dei migranti, provenienti per la maggior parte del C.A.R.A. di Mineo. Quattro dei sei assistenti/pittori erano studenti dell’Accademia di Belle Arti di Catania. In mostra a Palermo anche una delle magliette indossate per la performance Memory Day, con la sabbia del Lido Verde dove nel 2013 furono recuperati i corpi senza vita di sei migranti”.
Didascalie ragionate alle immagini
Liu Bolin, Hiding in the city – The Hope, stampa a getto di inchiostro, 2015.
(©Liu Bolin 2015. Courtesy Boxart, Verona)
Sul molo di Mezzogiorno, al Porto di Catania, è ricoverata in secca la prima barca che nel 2013 hatrasportato dei migranti dall’Africa alle coste catanesi. Tra essi, sei bambini egiziani che, stremati dal viaggio su quel peschereccio, sono annegati tragicamente cercando di guadagnare la riva, a pochi metri dalla spiaggia del Lido Verde. L’artista ha scelto di fondersi con il relitto e con la storia di cui esso è testimone silente per il suo primo scatto del progetto MIGRANTS.
Liu Bolin, Target – Memory Day, stampa a getto di inchiostro, 2015.
(©Liu Bolin 2015. Courtesy Boxart, Verona)
Lo scenario della tragedia evocata dall’opera iniziale, ovvero il Lido Verde, offre il secondo sfondo al progetto. «Essendo i migranti sdraiati sulla sabbia – commenta l’artista -, per qualcuno possono sembrare cadaveri; invece il mio intento è di descrivere il loro arrivo e l’inizio del loro futuro». Rispetto alla più nota e longeva serie Hiding in the city (Nascondendosi nella città), in cui Liu Bolin è al centro del soggetto fotografico, l’evoluzione dei suoi scatti di performance denominata Target (Bersaglio) prevede la sparizione mimetica di più persone nel contesto, coerentemente con il contenuto.
Liu Bolin, Target – Migrants, stampa a getto di inchiostro, 2015.
(©Liu Bolin 2015. Courtesy Boxart, Verona)
«In un’altra opera della serie Target – dichiara l’artista – ho scelto di inserire un barcone su cui sono state trasportate quattrocento persone. E’ difficile persino immaginare la pressione fisica e psicologica che subiscono uomini e donne durante questi viaggi. Vorrei attirare l’attenzione su questi eventi, mostrando l’imperfezione dell’umanità». Lo scatto è stato realizzato con alcuni dei barconi superstiti ormeggiati al porto di Catania e una ventina di migranti africani. Un monito per tutti, con un afflato di fiducia. «Nella mia opera – prosegue Liu Bolin – i migranti scompaiono davanti a questa e ad altre tre barche ormeggiate. La sparizione evoca la relazione evanescente tra la vita e la morte. Il mio intento, però, è privilegiare l’attenzione sulla vita e dare speranza».
Liu Bolin, Target – Blue Europe, stampa a getto di inchiostro, 2015.
(©Liu Bolin 2015. Courtesy Boxart, Verona)
I migranti coinvolti in questo scatto hanno posato dopo esser stati dipinti del medesimo colore blu della bandiera dell’Unione Europea. Queste le parole dell’artista a riguardo: «Non importa di quale religione, etnia o di quale paese siano i migranti, sono tutti mimetizzati con lo stesso sfondo monocromo, mentre compiono un gesto che ha a che fare con la loro spiritualità. Volevo dimostrare la possibilità di cambiamento, ovvero come questa generazione presente possa trasferirsi dall’Africa all’Europa e vivere felice». Il richiamo immediato per lo spettatore è a una Pietà laica contemporanea.
Liu Bolin, Target – Future, stampa a getto di inchiostro, 2015.
(©Liu Bolin 2015. Courtesy Boxart, Verona)
Ricordando le radici ataviche dei migranti Africani e il body-painting rituale di alcune popolazioni tribali, l’artista di Pechino ha scelto in quest’opera di dipingere la parola “Future” sul torso nudo di ognuno dei partecipanti alla performance, «dimostrando – ricorda Liu Bolin – che ogni persona, per raggiungere migliori condizioni di vita, è disposta ad affrontare ogni tipo di avventura, anche la più pericolosa, prendendo una decisione fondamentale che comporta talvolta il rischio di perdere la vita stessa».
Liu Bolin, Hiding in the city – GIAMMARCO AU 1168, stampa a getto di inchiostro, 2015.
(©Liu Bolin 2015. Courtesy Boxart, Verona)
L’ultimo dei sei scatti di MIGRANTS appartiene alla serie Hiding in the city in cui è nuovamente l’artista di Pechino a farsi ritrarre fuso con l’orizzonte circostante. La sesta location è ancora il porto di Catania, come nella prima opera del progetto, sulle cui banchine da alcuni anni sono ormeggiati una manciata di pescherecci che hanno trasportato, ciascuno, fino a quattrocento persone in un unico viaggio della speranza dall’Africa verso l’Italia. Il titolo dell’opera è il nome dell’imbarcazione stessa.