Sabato 30 gennaio 2016 alle ore 17,30 presso il centro cultura della libreria Macaione di Palermo (via Marchese di Villabianca n. 102), Cesare Airoldi, docente di architettura presso l’Università di Palermo e Francesca Spatafora, direttrice del museo archeologico “Antonio Salinas” di Palermo conversano con Ferdinando Raffaele, Carlo Ruta e Sebastiano Tusa, autori del libro Cristiani e musulmani nella Sicilia normanna.
Il libro si compone di tre saggi sui rapporti complessi che intercorsero tra cristiani e musulmani nel Regnum Siciliae degli Altavilla e segue essenzialmente tre prospettive: la prima è storico-linguistica ed è esaminata da Raffaele; la seconda è etnico-religiosa ed è analizzata da Ruta; la terza è tecnico-scientifica ed è presa in esame da Tusa.
Raffaele, dopo un breve excursus storico, fa il quadro delle contaminazioni e dei «prestiti» linguistici e lessicali dall’arabo nella lingua siciliana illustrando l’entità del debito che l’idioma siciliano ha contratto con la lingua parlata dai musulmani di Sicilia. Spiega quindi il peso che queste contaminazioni hanno avuto nell’evoluzione sociale della lingua parlata siciliana, con effetti di interculturalità che finirono con l’arricchirne la struttura. L’idioma dell’isola godette infatti di non poca considerazione nell’esperimento di volgare illustre condotto nella prima metà del XIII secolo dalla scuola poetica siciliana.
Ruta traccia un quadro dei problemi che sul piano storiografico restano aperti, mettendo in rilievo una serie di elementi che collidono con l’immagine di una Sicilia normanna interamente pacificata e interculturale. Spiega che lo sfondo del secolo era quello delle crociate e che l’ideologia della guerra santa ebbe effetti anche nell’isola, coltivata in particolare da alcuni ambienti facoltosi dell’aristocrazia, di provenienza nord-italiana. Argomenta quindi sui modi in cui progredì il paradigma aggressivo, e sui modi in cui venne indebolita l’etnia arabo-berbera di Sicilia, esponendola a un destino tragico, che si compì in periodo svevo.
Tusa spiega che le conoscenze tecniche già patrimonio degli arabi ebbero in Sicilia effetti notevolissimi, che, lungi dall’esaurirsi nei due secoli in cui i musulmani amministrarono e colonizzarono la Sicilia, riversarono i loro benefici nel Regnum Siciliae degli Altavilla. Anche i commerci e le attività produttive dei musulmani divennero di fatto un patrimonio irrinunciabile per i nuovi signori della Sicilia. L’archeologo chiarisce poi i modi in cui la cultura materiale e artistica araba si sedimentò nel regno, in primo luogo a livello architettonico, con l’adozione di stilemi arabo-islamici nella edificazione di chiese e palazzi.
Il significato dell’opera è sintetizzato, nella premessa editoriale, in queste parole: “Si può discutere quanto la storia, anche la più remota, sia in fin dei conti, come sosteneva Benedetto Croce, storia contemporanea, o quanto tenda almeno ad esserlo. Intesa come studio consapevole e approfondito del passato, essa costituisce comunque uno strumento importante per orientarsi. E in questo senso può aiutare non poco a comprendere le complessità di questo tempo, che sono in grado di disorientare e di indurre a forme strategiche di dimenticanza.”