Secondo appuntamento per un cartellone ricco di novità che si offre all’esigente pubblico etneo: è quello della Sala Magma di Via Adua 3 a Catania, che da domani, sabato 9 gennaio alle 21, con repliche domenica 10 alle 18, ed ancora sabato 16 dicembre alle 21 e domenica 17 alle 18, offre “Una storia come tante” di e per la regia di Luigi Favara.
Un cast di rilievo, quello che, oltre lo stesso Favara, vede impegnati Alfio Guzzetta, Enrico Pappalardo, Jacopo Raniolo, Francesco Ranno, Liliana Scalia e Fiorella Tomaselli.
È teatro di denuncia e di riflessione, un teatro “dello specchio” o “mentale”, come lo definisce lo stesso autore del testo in questa nota:
““Una storia come tante” nasce a metà degli anni 70, sotto forma di atto unico ispirato ad una novella di Pirandello col titolo: “La Verità” ed in questa veste fu rappresentata più volte con notevole riscontro di pubblico e con molti apprezzamenti da parte della stampa.
Così rimase fino al 1987, quando decisi di farla appartenere del tutto a me rivoluzionandone l’iter, i personaggi (che nella prima stesura erano solo 4) e la messa in scena. Mantenendone comunque la struttura decisamente Pirandelliana.
A quel punto, presi il copione e lo misi nel cassetto, dimenticandolo definitivamente. Qualche mese fa mi rivenne in mente e, rispolverato, ho deciso di proporlo per la prima volta nella stesura definitiva.
È un lavoro che parla dell’uomo e con l’uomo.
Gli uomini nascono liberi ma il Caso interviene nella loro vita precludendo ogni loro scelta: l’uomo nasce in una società precostituita dove ad ognuno viene assegnata una parte secondo la quale deve comportarsi.
Ciascuno è obbligato a seguire il ruolo e le regole che la società impone, anche se l’io vorrebbe manifestarsi in modo diverso: solo per l’intervento del caso può accadere di liberarsi di una formaper assumerne un’altra, dalla quale non sarà più possibile liberarsi per tornare indietro.
È quello che accade al protagonista della storia che ha provato sommessamente a mostrarsi per quello che lui crede di essere ma, incapace di ribellarsi o deluso dopo l’esperienza di vedersi attribuita una nuova maschera, si rassegna. Vive nell’infelicità, con la coscienza della frattura tra la vita che vorrebbe vivere e quella che gli altri gli fanno vivere per come essi lo vedono. Accetta alla fine passivamente il ruolo da recitare che gli si attribuisce sulla scena dell’esistenza.
Sino a quando si strappa la maschera e si presenterà al mondo per quello che è!
Sicuramente questo lavoro si può avvicinare al teatro dello specchio, perché in esso viene raffigurata la vita vera, quella nuda, amara, senza la maschera dell’ipocrisia e delle convenienze sociali, di modo che lo spettatore si guardi come in uno specchio così come realmente è, e diventi migliore. È in questa dimensione che lo definirei “Teatro mentale”: lo spettacolo non è subito passivamente ma serve come pretesto per dar voce ai “fantasmi” che popolano la mente di chi lo ha scritto.
I personaggi presenti nello spettacolo incrinano le certezze del mondo borghese: introducendo la versione relativistica della realtà, rovesciando i modelli consueti di comportamento esprimendo, mi auguro, la dimensione autentica della vita al di là della maschera.
Cerco anche di abolire il concetto della quarta parete, cioè la parete trasparente che sta tra attori e pubblico: in questo lavoro, infatti, tendo a coinvolgere il pubblico che non è più passivo ma che rispecchia la propria vita in quella agita dagli attori sulla scena”.
La stagione proseguirà dal 12 febbraio con “Il portafoglio” e “Intervista” di Octave Mirbeau, dal 4 marzo con“Ricordo di un campesiño” di Luigi Favara, dal 15 aprile con “Il fruscio del tempo” a cura di Salvo Nicotra, ed infine dal 13 maggio con “La borghese di Orleans” di Alfio Guzzetta.