La caponata è uno dei capolavori della cucina siciliana. Direi quasi il contorno tipico per eccellenza, essa rappresenta al tempo stesso anche un vero e proprio pezzo di storia gastronomica siciliana. Infatti, la caponata unisce la ricca tradizione isolana, mediterranea e agricola, alle molteplici influenze, soprattutto mediorientali, arabi e saraceni, dei suoi dominatori. Il piatto è un tripudio di colori e sapori grazie agli ortaggi fritti (per lo più melanzane ma anche peperoni), conditi con pomodoro, sedano, cipolla, olive e capperi e cucinati in salsa agrodolce. Ne esistono numerose varianti, a seconda della zona, degli ingredienti e soprattutto delle tradizioni di famiglia, oggi le varianti raccolte in tutta l’isola arrivano a 40! Alcune prevedono l’aggiunta di pinoli, mandorle, aglio, carote, patate. Servita come contorno o antipasto, la caponata si accompagnata con fette di pane fresco cotte nel forno di casa; un perfetto piatto unico che è davvero una festa per il palato.
L’origine del nome “caponata” rimanda alla parola di derivazione catalana “caponada”, una ricetta che prevedeva, tra gli altri ingredienti, l’uso del pesce capone (che in alcune zone della Sicilia era chiamato “lampuga”). Questo pesce, dalla carne molto pregiata ma piuttosto asciutta, veniva portato in tavola nelle case dell’aristocrazia condito con una salsa agrodolce tipica appunto della caponata moderna, come noi la conosciamo oggi. Il popolo però non potendo permettersi il costoso pesce, lo sostituì con le economiche melanzane a loro disposizione. Ed è questa la ricetta che è giunta fino a noi oggi.
La stessa salsa agrodolce veniva usata dai monsù (dal francese “monsieur”, appellativo di rispetto che utilizzavano i siciliani per designare i cuochi francesi di servizio presso le famiglie aristocratiche) per conservare per qualche tempo la cacciagione, fra cui il cappone appunto. Per questo la pietanza veniva definita “capponata”.
A rendere tale pietanza famosa nel mondo sicuramente il merito va allo scrittore siciliano Camilleri e al suo commissario Montalbano: “Appena aperto il frigorifero, la vide. La caponatina! Sciavuròsa, colorita, abbondante, riempiva un piatto funnùto, una porzione per almeno quattro pirsone. Erano mesi che la cammarera Adelina non gliela faceva trovare. Il pane, nel sacco di plastica, era fresco, accattato nella matinata. Naturali, spontanee, gli acchianarono in bocca le note della marcia trionfale dell’Aida. Canticchiandole, raprì la porta-finestra doppo avere addrumato la luce della verandina. Sì, la notte era frisca, ma avrebbe consentito la mangiata all’aperto. Conzò il tavolinetto, portò fora il piatto, il vino, il pane e s’assittò” (tratto da La gita a Tindari).
E allora ecco la ricetta della CAPONATA!