La trippa è una frattaglia formata dalla parte dell’apparato digerente del bovino compreso tra stomaco ed esofago. Le quattro parti dello stomaco sono rumine, reticolo, omaso – detto anche foiolo, millefoglie, centopelli – e abomaso o lampredotto). Dopo la macellazione queste frattaglie vengono sottoposte a pulitura e bollitura. In quanto frattaglia, la trippa è riconosciuta come “prodotto alimentare tradizionale” (ai sensi dell’art. 8 del D. Lgs. 30 aprile 1998, n. 173). Essa non figura nell’elenco stilato dall’ Unione Europea riguardante le parti del bovino che secondo alcune norme tecnico-sanitarie sarebbero da scartare (come, ad esempio, cervello, colonna vertebrale, midollo spinale dei bovini di età superiore ai 12 mesi e gli intestini dei bovini di qualsiasi età). La sua distribuzione è quindi libera nei Paesi che hanno recepito le norme UE in materia di alimentazione emanate dopo la cosiddetta “epidemia della mucca pazza”.
La trippa è un alimento consumato sin dai tempi antichi, già i greci la cucinavano sulla brace, mentre i romani la utilizzavano per preparare salsicce. Oggi viene cucinata utilizzando verdure miste di stagione, erbe aromatiche, un buon olio extravergine d’oliva, il brodo di carne e altri ingredienti che variano a seconda delle singole ricette regionali. Il suo consumo è profondamente radicato nelle cucine tradizionale di tutta Italia.
La trippa è un piatto molto sostanzioso dal punto di vista dell’apporto proteico, molto simile a quello della carne di vitello, ma il suo contenuto in grassi è relativamente basso, solo 4 grammi l’etto. Chi si lamenta della “pesantezza” del prodotto – ovvero della sua scarsa digeribilità – dovrebbe sapere che ciò è solitamente dovuto all’aggiunta di spezie e condimenti poiché la trippa semplice bollita apporta circa 90/100 calorie l’etto. Inoltre, c’è da sottolineare una benefica presenza di sostanze minerali, specialmente calcio, sodio, selenio, zinco, magnesio e fosforo. Stesso discorso vale per le vitamine del gruppo B.
Infine, una curiosità, il famoso detto romano “nun c’è trippa pe’ gatti” è stato coniato verso i primi anni del ‘900 dal primo cittadino di Roma, Ernesto Nathan, che eliminava dal bilancio delle spese di Roma una voce per il mantenimento di una colonia di felini randagi.
La ricetta che vi lascio oggi è la versione della TRIPPA ALLA PISANA che prevede l’aggiunta della pancetta e del parmigiano, oltre alle erbe aromatiche, per insaporire il piatto.